Avete presenti quelle ghiere rotonde che da decenni si trovano su ogni tipo di dispositivo? Sulle prime televisioni regolavano il volume, e continuano a farlo in molti dispositivi audio, specialmente nelle automobili. Li troviamo nei termostati per regolare il riscaldamento di casa, negli interruttori della luce per aumentare o diminuire la luminosità del nostro soggiorno. Quasi sempre vanno da un minimo a un massimo e gli inglesi, specialmente se associati all’illuminazione, li chiamano «dimmer».
Ecco, il nostro dimmer immaginario regola invece il tono, la quantità e la concentrazione di comunicazione: al livello minimo troviamo il presidente del Consiglio in carica, Mario Draghi. Al livello massimo il suo predecessore, Giuseppe Conte.
La metafora è di chiarissima lettura: da una parte «l’Avvocato del Popolo» ha fatto della sua figura e della sua immagine una costante durante tutto l’arco della sua gestione della pandemia; dall’altra, invece, l’ex governatore della BCE ha scelto il bassissimo profilo comunicativo (quasi il vuoto) come misura della sua azione: privo persino di un canale social, Draghi ha sempre utilizzato quasi esclusivamente (e col contagocce) i canali istituzionali.
Non è un mistero che, in termini di approccio alla comunicazione, tra i due ci sia un abisso incolmabile. Decine di commentatori hanno già evidenziato la totale inversione di direzione tra i due esecutivi avvicendatisi nella gestione dell’emergenza sanitaria. Tuttavia, vale ancora la pena soffermarsi sui tratti della comunicazione di Mario Draghi e sulla discrepanza tra gli effetti di una comunicazione ridondante, come quella di Conte, e una comunicazione minimalista come quella cui ci stiamo adesso abituando.
Lunedì scorso Mario Draghi si è trovato “costretto” a convocare una conferenza stampa. Chi si stesse godendo, ad esempio, il pomeriggio di Rai Uno, avrà visto il suo programma preferito interrotto da questa “intrusione” del presidente del Consiglio. Diciamo “costretto” perché non era proprio nelle volontà di Draghi cambiare il suo modello di approccio e convocare una conferenza stampa per presentare l’ultimo dl in materia di emergenza sanitaria: questa inversione di rotta è stata caldeggiata però da una larga fetta dell’opinione pubblica italiana, che lamentava di non aver compreso a pieno le nuove regole su quarantena, green pass e vaccinazione obbligatoria.
Per questo motivo il premier ha deciso di mettere volto e faccia a un tutorial che chiarisse i termini dei nuovi protocolli di gestione.
È stato, ovviamente, un flashback: quante volte Giuseppe Conte è infatti entrato nelle nostre case, attraverso televisioni e social, per spiegare in prima persona come il governo stava affrontando l’epidemia? Forse troppe, direbbe qualcuno. Stiamo guardando proprio il dimmer della comunicazione: dai primi funesti giorni di marzo 2020 fino all’epilogo del Conte II ogni novità, allarmante o rasserenante, restrittiva o più permissiva, veniva sempre comunicata dal presidente del Consiglio allora in carica, in diretta sulle principali emittenti televisive e sui canali social personali, istituzionali e delle principali testate italiane.
È stato Conte a dirci che il Paese stava entrando in lockdown, sempre Conte a spiegarci in live su Rai e Facebook il «sistema dei colori», Conte il premier del «restiamo lontani oggi per tornare a riabbracciarci domani», ma alla fine anche Draghi (e sono molti gli esempi alla mano, alcuni anche emozionanti, di frasi toccanti entrate ormai nel ricordo collettivo) ha dovuto fare i conti con la “necessità” della comunicazione del mondo di oggi.