Come si afferra e tiene stretta l’attenzione dei consumatori oggi, in un mondo in cui ovunque, dal proprio cellulare alle corsie del supermercato, si viene costantemente bombardati da stimoli diversi e contrastanti?
Per sua natura, la nostra attenzione è davvero molto limitata: si calcola che della mole gigantesca di informazioni che ci troviamo di fronte, un quantitativo pari a 10 alla nona di bit al secondo, la parte razionale del nostro cervello sia in grado di percepirne e metabolizzarne soltanto una minima parte, tra 10 e 10 alla seconda bit. Questo significa che almeno 10 alla settima degli stimoli che incontriamo ci trapassa ed è processato dal nostro cervello soltanto in maniera non conscia, sotto la soglia della nostra razionalità. Non è difficile comprendere il perché: se doveste prestare attenzione a ogni singolo stimolo da quando aprite gli occhi alla mattina a quando arrivate in ufficio probabilmente impazzireste.
Proprio per risparmiare energia ed evitare un elevato sforzo cognitivo, il nostro cervello è abituato a deselezionare automaticamente ciò che non ritiene essenziale, riducendo e semplificando così la mole di informazioni su cui vale la pena concentrarsi.
Ecco perché tra mille pacchi di biscotti, è molto probabile che sceglieremo proprio la marca che abbiamo già messo nel carrello tante volte: sappiamo che ci sono piaciuti ed eliminiamo il fastidio di dover compiere un’estenuante scelta valutando tutte le alternative, concedendo una via preferenziale a ciò che ci è familiare.
L’abitudine delle persone è difficilmente scardinabile, ma il nostro cervello può essere comunque attivato da stimoli che non conosce ancora, in grado di spiccare nell’oceano di informazioni e risultando quindi discordanti, discontinui dal resto tanto da catturare l’attenzione. Ed è qui che neuromarketing e behavioural sciences si inseriscono come valido aiuto, indagando i meccanismi non consci che determinano l’attenzione dei consumatori.
Ad esempio, per comprendere se lo sguardo si concentrerà sul messaggio che vogliamo, si può effettuare un test con eye tracking, strumento che registra i movimenti oculari dell’osservatore, individuando i punti di forza e debolezza di una comunicazione a livello visivo.
Altrettanto utile può essere l’EEG, l’elettroencefalografia, ossia l’analisi delle onde cerebrali, per osservare l’attività elettrica del cervello e, nello specifico, di una particolare area in una particolare banda di fronte a uno stimolo. L’attività può essere associata a specifici processi cognitivi, come la memorizzazione, decision making, o stati mentali, come il carico cognitivo, la fatica, la stanchezza.
L’fMRI, invece, aiuta a osservare l’attivazione delle varie aree del cervello, ognuna imputata al compimento di una funzione in risposta a uno stimolo: in base a quali zone del cervello saranno chiamate in causa, si potrà stabilire se la nostra strategia sarà davvero in grado di attirare o respingerà il pubblico di riferimento.
Conoscere come pensano, agiscono e da cosa sono attratte le persone aiuta quindi a creare strategie e campagne capaci di catturare l’attenzione del pubblico e a essere notate anche tra stanchezza, noia, altri stimoli più potenti, emozioni e cambi di obiettivi repentini. Ma come è possibile farlo, in pratica? Ecco cinque insight per colpire (meglio) nel segno.
1) Le immagini come chiave per catturare lo sguardo
Più che da testi e numeri, l’occhio del consumatore è catturato dalle immagini che trova di fronte a sé.
La vista risulta essere il senso più stimolato nella comunicazione – perché come l’udito, non richiede un contatto fisico per suscitare interesse.
I contrasti cromatici sono un valido espediente per catturare lo sguardo, così come i
colori, poi, riconducono i consumatori a una serie di associazioni mentali che immediatamente comunicano un messaggio preciso: il rosso diventa quindi il colore dell’attrazione, della passione, il nero quello del lusso e, il viola quello dell’ambito spirituale, il giallo quello dell’energia. Un discorso che vale anche per l’aspetto digitale della comunicazione, dove la soglia di attenzione degli utenti è ancora più bassa del normale: per catturare lo sguardo di chi sta scrollando il feed di un social network è importante creare contenuti impattanti ed eyecatching.
In occasione di un test neurometrico svolto sulla campagna social per promuovere Certamente, il primo convegno di neuromarketing in Italia, è emerso che proprio le immagini che presentavano contrasti elevati tra sfondo e soggetto sono state in grado di ingaggiare meglio i follower, ottenendo più engagement e interazione rispetto ai post più uniformi a livello cromatico.
2) Il logo? È il megafono del brand
Restando in ambito visivo,
il logo di un brand è un canale importante attraverso cui veicolare i messaggi e rafforzare l’identità: come detto, basta l’uso di un font, di un colore o di alcune forme ed ecco che la nostra mente collega alla marca una serie di associazioni e riconosce di chi si sta parlando.
I loghi possono comunicare molto più di un messaggio, ed è per questo che provarne l’attenzionalità con test neuroscientifici risulta essenziale per stabilirne l’efficacia, come fatto da Tim in occasione del suo rebranding che ha portato l’azienda di telefonia a scegliere l’attuale logo dopo averne provato le migliori performance rispetto alle altre opzioni disponibili.
3) Le parole contano
Altrettanta cura va posta poi al
linguaggio attraverso cui un brand veicola la propria comunicazione: esso, infatti,
non è processato soltanto a livello razionale, poiché determinate parole riescono ad attivare il nostro cervello anche a livello non conscio.
A questo proposito, meglio ricordare che
claim troppo astratti rischiano di essere poco efficaci. Ricorrere all’uso di espressioni concrete, a situazioni della quotidianità, richiamando quando possibile l’uso dei cinque sensi, è invece un ottimo gancio per dare vita al linguaggio, rendendolo davvero efficace e indirizzato a chi vuole rivolgersi.
La brevità, inoltre, aiuta la memorizzazione e non sovraccarica il cervello di informazioni, così come il taglio stilistico deve tenere ben conto dei valori e del posizionamento del brand sul mercato. Un esempio? Pensate a Redbull: Il claim “
Redbull ti mette le ali” non solo sintetizza in una frase le qualità energetiche della bevanda, ma le rende appetibili e ingaggianti per il paragone immediato al volo, rivolgendosi a un pubblico di riferimento dinamico, giovane come il brand. Anche chi non ha mai provato una Redbull, sa che bevendola guadagnerà energia e vitalità.
4) Sulla stessa lunghezza d’onda: il potere comunicativo delle storie
Raccontare storie è nella natura dell’uomo fin dalla notte dei tempi: ci piace immedesimarci nelle storie altrui e provare emozioni e questo spiega il perché
una narrazione ben congegnata è in grado di coinvolgerci e comunicare profondamente con ognuno di noi. I neuroscienziati hanno dimostrato che se diverse persone ascoltano la stessa storia, le loro onde cerebrali si allineano sulla stessa frequenza: la narrazione è il miglior conduttore di idee, messaggi, sensazioni.
Arricchire la storia, il messaggio e i valori di un brand attraverso uno storytelling consente di catturare l’attenzione del nostro pubblico di riferimento, riuscendo a creare un efficace e duraturo legame emotivo tra brand e persone.
5) Meno informazioni, più scelta: per il cervello “less is more”
Una mole troppo alta di informazioni e stimoli diversi allontana le persone da una scelta perché diventa troppo complessa. Generalmente
prendiamo più volentieri una decisione quando le opzioni in nostro possesso sono poche.
Un insight provato da diversi studi di neuromarketing anche in ambito digitale: confrontando due layout di presentazione di un prodotto in un e-commerce - uno con un dettaglio specifico sulle caratteristiche di prodotto e un altro più scarno, con le informazioni essenziali - è stato dimostrato che il layout più apprezzato e che spingeva con più facilità all’acquisto era proprio quello con meno informazioni, come ricordato dalla Web Psychologist Liraz Margalit in occasione della Shopper Brain Conference di Amsterdam del 2017.
Ora che abbiamo affrontato alcuni dei più importanti ed efficaci insight del neuromarketing, la sfida è applicarli alle proprie strategie. Avete preso nota?
L'appuntamento è al prossimo articolo della rubrica in cui parleremo delle
emozioni.