Tutti noi, durante gli ultimi particolari mesi di convivenza con la pandemia, siamo stati spinti ad adottare comportamenti nuovi, e a modificare alcune vecchie abitudini per rispondere ad uno scenario inedito e, ancora oggi, assai dinamico.
Ci siamo dunque evoluti in modo molto rapido, gestendo l’incertezza attraverso la nostra innata capacità di adattamento così come abbiamo fatto infinite volte lungo la storia dell’umanità.
È ancora presto per definire con certezza quali di questi comportamenti si affermeranno nel tempo e quali invece ci lasceremo alle spalle, così come capita con i buoni propositi di Capodanno, ma è innegabile che l’esperienza globale della pandemia avrà un impatto di lungo periodo sui modelli di business e sulla relazione tra brand e persone che, come nel periodo più difficile dell’emergenza sanitaria, ancora oggi si aspettano innanzitutto supporto e vicinanza dai loro marchi di fiducia.
Per questo intercettare, quasi in tempo reale, le emozioni e i bisogni dei propri clienti risulta indispensabile per rispondere loro in modo autentico ed affidabile su tutti i touch point, dimostrando comprensione ed empatia e sviluppando così una relazione significativa, che possa trasformarsi in reale vantaggio competitivo per i marchi disposti a investire nella cura del consumatore, in tempi così incerti.
L’uomo è d’altronde un animale sociale, che necessita per sua natura di relazione e contatto: i nostri indicatori neurofisiologici hanno reazioni diverse quando abbiamo di fronte un essere umano anziché un oggetto, perché non possiamo prescindere dagli altri per sopravvivere Impariamo a camminare, mangiare e parlare grazie all’imitazione; gli altri ci guidano, ci ispirano, ci rendono consapevoli di chi vogliamo o non vogliamo essere.
La nostra stessa percezione, infatti, molto spesso si genera grazie alla relazione con gli altri. Siamo mammiferi; ci sviluppiamo e nasciamo nel corpo dell’altro e il nostro cervello mappa questo rapporto ben prima della nostra nascita; il nostro cervello è persino dotato di una classe di neuroni motori, i cosiddetti “neuroni specchio”, che si attivano sia quando compiamo un’azione - ad esempio mangiare un gelato - sia quando la vediamo fare da qualcun altro.
È proprio grazie ai “neuroni specchio” che costruiamo l’empatia verso gli altri esseri viventi e che impariamo a virtualizzare cerebralmente gli stati d’animo e le emozioni altrui, rivivendoli in prima persona.
Quando i vissuti diventano collettivi, come nel caso della pandemia, questi stati d’animo si allineano e l’empatia aumenta, facendoci riconoscere ancora più profondamente negli altri, con cui cerchiamo un contatto, un confronto, anche se ovviamente, man mano che ci si allontana dalla fase più acuta della crisi, questo sentimento si normalizza e mitiga.
Per tutti questi fattori, costruire e mantenere una relazione duratura con i propri clienti è una delle sfide più ardue e affascinanti per i brand, soprattutto oggi, in un mondo in cui le limitazioni fisiche hanno trasformato radicalmente, e per certi versi in modo traumatico, la customer experience.
La “new” customer experience
Il negozio, luogo in cui, fino a pochi mesi fa, potevamo esplorare i prodotti, toccarli, provarli o assaggiarli, magari accompagnati dalla consulenza di un professionista, oggi fatica a garantirci la stessa esperienza. Ingressi contingentati, mascherine, assortimenti limitati, distanziamento, cambiano il mindset dei clienti, che acquistano in modo molto più veloce e mirato, preferendo marche e prodotti abituali e virando sempre più volentieri verso acquisti online.
Ma, pur con significative eccezioni - soprattutto nel mondo fashion e luxury -, la customer experience digitale risulta molto impersonale, a sensorialità limitata e focalizzata su velocità e vantaggi materiali, come lo sconto, la spedizione gratuita, la velocità di consegna, presentando quindi ancora molte frizioni, quando si tratta di esplorare nuovi prodotti.
Se ci approcciamo a un acquisto online senza avere le idee chiare, infatti, sappiamo di dover mettere in conto tempo e fatica per arrivare comunque ad un risultato molte volte incerto, di cui cercheremo conferma nelle recensioni degli altri, nel confronto con siti simili, magari scegliendo un negozio in cui poter vedere, se non provare, il prodotto che vorremmo comprare.
Inoltre, la customer experience digitale è ancora carente degli aspetti di relazionalità e rapporto umano che il nostro cervello necessita per costruire il framework percettivo nel quale compiere le proprie decisioni e provare una gratificazione finale. Il dialogo con un Bot, una chat o la compilazione di un form non potranno mai rassicurarci quanto la relazione fisica con un commerciante che ci parla, racconta le esperienze di altri clienti e magari ci gratifica con un piccolo sconto dedicato.
Occorre quindi conoscere a fondo i vari touch point della customer experience, individuare i fattori che in questo periodo storico inedito influenzano il decision making e valutare l’impatto della componente relazionale nelle varie fasi di questo processo, preservandola e incentivandola, con le dovute limitazioni, nel mondo fisico e rafforzandola in quello digitale.
L’uomo al centro, come fattore chiave di rinascita: non è la prima volta che questo paradigma si realizza nella nostra storia e anche oggi potrebbe aiutarci ad interpretare una realtà nuova ed imprevedibile.