Parliamo di digitale tutti i giorni. A breve ci sarà l’Engage Conference. Tanti professionisti impegnati a trovare i prodotti migliori, le soluzioni giuste per far crescere le aziende.
Nel frattempo però il digitale sta minando una parte importante del nostro paese. Le banche. Che non fanno simpatia, ne sono consapevole. Non è che ci svegliamo al mattino pensando: “Che bello, oggi, quasi quasi, faccio un salto in banca”. Sono però il partner odiato/amato di tante imprese. E rischiano, inesorabilmente di essere preda dei “giganti del web”.
Il digitale rischia di mettere in un angolo, di isolare, l’intero sistema bancario.
Non è una novità ma proviamo a guardare la cosa nel dettaglio.
Alibaba sta operando nel mondo dei finanziamenti alle imprese dal 2016 (ha già erogato oltre 110 miliardi di dollari) attraverso la sua banca in cloud chiamata MyBank (e no, io lavoro per una azienda che condivide lo stesso nome ma facciamo tutt’altro). Grazie a sistemi automatici di rating che sfruttano AI e Big Data è in grado di rispondere ad una richiesta di finanziamento in tempi record: 1 secondo per l’istruttoria di un fido e 3 minuti per l’erogazione di un prestito.
Mercado Libre (società argentina costituita negli Stati Uniti che gestisce mercati online dedicati all'e-commerce e aste online da oltre 800 milioni di dollari di fatturato all’anno) e Rakuten (colosso dell’ecommerce giapponese da 10 miliardi di fatturato) operano anche loro da anni nel mercato bancario sia proponendo soluzioni di finanziamento sia proprie soluzioni di pagamento.
Amazon è dal 2011 che, negli Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone, eroga prestiti a piccoli imprenditori per un minimo di mille ad un massimo di 750 mila dollari. Prestiti a breve termine, con tassi di interesse a mio avviso anche onerosi (tra il 6% e il 17%) ma che vengono concessi rapidamente. E se l’azienda non dovesse ripagare il debito? Amazon ha un’arma da giocarsi: per richiedere il prestito l’azienda deve essere iscritta come rivenditore sulla piattaforma. Se non ripaga il debito, gli bloccano la merce. In questo modo hanno già erogato oltre 4 miliardi di dollari (non sono proprio noccioline) e catalizzato anche l’attenzione di Bank of America Merrill Lynch per lo sviluppo su larga scala di questo servizio.
Facebook, che a fine 2018 ha ottenuto la licenza bancaria in Irlanda, sta lavorando alla propria valuta virtuale di cui avrai già sentito parlare, “Libra”. Google ha preso la licenza per l’e-money in Lituania (che gli permette di aprire conti e emettere carte di pagamento per clienti che risiedono in ogni paese dell’intera Area Economica Europea (EEA). Apple ha lanciato in USA la sua Apple card.
La minaccia reale e concreta per il mondo bancario è che questi top dog del digitale puntino ad aggredire il mercato europeo dei servizi bancari core: mutui, conti correnti, carte di credito.
E come potrebbe reagire il mercato?
In discussioni da bar mi sono spesso sentito dire: “ma va, tu ti fideresti a dare i tuoi soldi a Facebook? Io no.”
Già.
Peccato che uno studio già datato di Accenture svolto a livello globale mostri che circa un terzo delle 33mila persone intervistate sarebbe attratto dall’idea di spostare il proprio conto bancario su Facebook, Google o Amazon.
Peccato che una ricerca di Bain & Company riveli che 3 millennial su 4 sarebbero entusiasti di passare dalla loro attuale banca a una banca gestita da Amazon o Google. E ricordo che i millennial non sono più i ragazzini senza portafoglio ma adulti trentenni.
Del resto, se Amazon ti dicesse: vieni da me, ti do un conto corrente senza spese e ti offro anche il 2% di cashback su tutti gli acquisti che fai su Amazon.com… diresti di no?
Da lì, il passo che li porterebbe ad erogare mutui e prestiti è davvero breve.
E allora?
E allora le banche non devono lasciarsi distrarre. Non possono pensare di recuperare terreno nel digitale dopo essere state a guardare tutti questi anni. Possono portare avanti dei progetti, certamente. Ma devono rimanere concentrate su quello che sanno fare meglio, focalizzandosi sui servizi bancari a maggior valore aggiunto, dove possono mettere in campo competenze (anche e soprattutto legate al territorio) che i “giganti del web” ancora non possiedono (e che forse non sono nemmeno interessati a sviluppare nel breve termine).
Via allora a prodotti fortemente esclusivi, a valutazioni di rating che vadano oltre le classiche variabili, gestione personalizzata del risparmio, al recupero degli spazi fisici di contatto con i clienti.
Le banche hanno ancora oggi il contatto umano con tante realtà. Non lo devono perdere, la valorizzazione del rapporto con il cliente è, a mio modo di vedere, uno dei pochi asset che hanno in mano e che si devono giocare al meglio.
Come professionisti del digitale non dovremmo girarci dall’altra parte, quasi sorridendo della cosa. Dobbiamo, al contrario, impegnarci per trasferire conoscenza e soft skill anche in quel mondo di colletti bianchi, per noi apparentemente lontano, che invece manda avanti gran parte dell’economia del Paese.
Nota bene tutti i giganti nominati non si stanno muovendo nel banking per cercare nuove revenue. Lo stanno facendo perché è funzionale ai loro business. Legano a doppio filo i clienti che già conoscono grazie ai dati che hanno e che sanno sfruttare.