Quando parliamo di strategie di Influencer Marketing, pensiamo subito che queste siano adatte solo per i brand B2C, dove il processo di acquisto è più rapido e diretto. Le aziende di consumo, infatti, si rivolgono agli influencer con i quali attivano campagne a pagamento: l’influencer viene visto come un facilitatore del processo d’acquisto in quanto suggerisce un prodotto invogliando il potenziale cliente a sceglierlo grazie alla fiducia che questo ripone nell’influencer stesso.
Per i brand B2B, non è così facile poiché il customer journey è meno lineare. Gli influencer aziendali non possono semplicemente prendere un video della piattaforma SaaS o scattare una foto del data center e guidare così le vendite in qualsiasi momento. Inoltre, un influencer con un ampio seguito su Instagram ad esempio, non ha molta credibilità per gli acquirenti B2B. Questi di solito non cliccano su un link proveniente da una Instagram Story ad esempio, per poi visitare un sito web aziendale e acquistare così facilmente. Solitamente, invece, iniziano il processo di acquisto leggendo recensioni e verificandole, il tutto dopo essersi confrontati con dei colleghi.
Il ciclo di vendita minimo per un software aziendale è di sei mesi. Anche se i social media hanno accelerato questo ciclo, è ancora molto più lungo del ciclo per i prodotti di consumo. Gli acquirenti B2B sono scettici sulle vendite e sul marketing.
Il processo d’acquisto è sempre di tipo learn > feel > do, in cui conta molto la componente analitica e razionale. Infatti, gli influencer B2B condizionano le scelte d’acquisto in diversi modi: innanzitutto si focalizzano sull’utilità e sulle funzioni di un determinato prodotto o servizio e su come questo possa risolvere un problema aziendale; forniscono informazioni dettagliate su come integrare in azienda un determinato prodotto o servizio e riportano casi in cui effettivamente il prodotto/servizio ha portato vantaggi concreti all’interno dell’azienda o ancora determinano correnti di opinione favorevoli in merito ad un determinata azienda, prodotto o servizio.
Le attività degli influencer in ambito B2B hanno effetto principalmente nella fase di ricerca dei possibili fornitori e nell’ultima fase del processo decisionale d’acquisto.
Per capire come implementare l’IM per i marchi B2B, possiamo partire dalla comprensione del modello 1:9:90.
Il primo riferimento al modello 1:9:90 è stato fatto nel 2006 da Charles Arthur il quale ha affermato che “se si ottiene un gruppo di 100 persone online e successivamente si crea un contenuto, 10 interagiranno con esso e le altre 89 lo vedranno solamente”.
Da allora, il modello 1:9:90 è stato adattato in vari modi per trovare, segmentare e attivare gruppi di persone online fino ad arrivare ad essere utilizzato anche per definire e perfezionare i programmi di IM per i marchi B2B:
- L’1% di influencer: questi sono gli opinion leader e i creatori di contenuti che sono in grado di raggiungere la maggior parte del loro pubblico quando pubblicano contenuti online e possono creare nuovi mercati, parole chiave e nuove categorie di prodotti. Oggi chiunque può essere un influencer – media, autori, consulenti, analisti e chiunque altro abbia un punto di vista specifico e un vasto pubblico;
- Il 9% di promoters: le persone che fanno parte di questo gruppo sono estremamente attive sui social media, raccomandano prodotti e servizi, hanno un punto di vista su tutto e lo condividono liberamente con chiunque sia disposto ad ascoltare. Questo 9% costituisce il pubblico che può potenzialmente creare o distruggere la conversazione.
- Il 90% di market: questa parte di pubblico non contribuisce molto alla conversazione ma non deve essere trascurata in quanto la sua forza sta nei numeri. E’ proprio questa la parte del modello 1:9:90 che decide quanto gli altri gruppi siano convincenti nel raccontare la storia di un marchio.
Il modello 1:9:90 può essere applicato a qualsiasi brand, grande o piccolo. La distinzione tra i gruppi è importante, però. Non si può interagire o comunicare con un influencer come si farebbe con dei consumatori generali. Tuttavia, indipendentemente dalle differenze tra questi tre gruppi di destinatari, ognuno di essi svolge un ruolo significativo nel motore di contenuti.
Se si è in grado di interagire positivamente con un influencer o un gruppo di influencer e convincerli a parlare del proprio brand o prodotto, si ha il potenziale per raggiungere l’intero mercato.
Il processo ovviamente inizia con l’identificazione degli influencer giusti. Purtroppo, molti marketer usano solo un criterio per individuare gli influencer con cui interagire e, di solito, è
reach, che sta ad indicare quanto è grande la loro comunità social su tutti i canali digitali. Ma questa non è l’unica metrica utile. Va anche considerata la
relevance, cioè con quale frequenza parlano di argomenti o utilizzano parole chiave in linea con una determinata attività, o la
reference, ossia se sono referenziati da altri influencer di un determinato ambito.
Sulla base di queste metriche, ci sono diversi modi per classificare gli influencer e, nell’ambito B2B, si è soliti suddividerli in tre categorie: micro-influencer professionisti, grandi esperti e professionisti della produzione di contenuti.
Una volta compreso il mercato di riferimento e individuati gli obiettivi di marketing per gli influencer, occorre dedicare una notevole quantità di tempo alla
ricerca di chi può avere un impatto significativo per il tuo brand.
Ovviamente, l’attuazione di una strategia di IM in ambito B2B è un processo piuttosto complesso, ma, se condotto in maniera coerente e lineare, può generare vantaggi significativi per l’azienda.
Annamaria Ienna
Marketing Manager @2manyApps