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di Lorenzo Mosciatti

Il branded entertainment continua a crescere (+7% nel 2025). Nenna, OBE: «Ampi margini di sviluppo»

Presentanti i dati dello “Stato del mercato Branded Entertainment 2024/2025”. Il presidente: «Dialogo con UPA per dati convergenti sul valore del mezzo»

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Il branded entertainment continua a crescere in Italia e a giocare un ruolo sempre più strategico per le aziende, anche se restano ancora diversi gap da colmare. È quanto emerso oggi a Milano in occasione della presentazione dell’analisi “Stato del mercato Branded Entertainment 2024/2025”, realizzata da OBE – Osservatorio Branded Entertainment in partnership con RTI, in collaborazione con Ipsos Doxa e, per la prima volta, con il supporto di UPA.

Il 2024 si è chiuso con investimenti pari a 732 milioni di euro (+8,5% rispetto al 2023), un risultato superiore alle attese che porta il branded entertainment a rappresentare il 7% del totale degli investimenti pubblicitari, confermandone il ruolo sempre più centrale all’interno del media mix. La quota sale al 20% per quei brand che già lo considerano una componente strategica e pienamente integrata nei propri progetti di comunicazione.
Anche nel 2025, è stato anticipato durante l’incontro, il mercato del branded entertainment non si ferma e dovrebbe chiudere a quota 783 milioni di euro (+7%), un dato che rafforza il trend positivo già in atto. 

Video e digitale guidano gli investimenti

La distribuzione stimata degli investimenti del branded entertainment nel 2024 conferma la leadership complessiva del video. La televisione (broadcaster, streamcaster e pay tv) si mantiene al primo posto con il 36%, mentre social media e piattaforme di intrattenimento digitale crescono fino al 33%, riducendo ulteriormente il divario. Seguono l’editoria online (10%), le owned properties dei brand (7%), l’OOH e le attività sul territorio (5%), l’editoria cartacea (4%) e i canali audio-only (4%).

Analizzando le dinamiche dei diversi mezzi, emerge una distinzione significativa: in televisione prevale la brand integration (il 75% contro il 25% delle produzioni originali), mentre nell’ambito social & digital il rapporto si inverte, con il 75% destinato alle produzioni originali. Una differenza che riflette la diversa funzione dei due ecosistemi: la televisione resta il contesto privilegiato per sfruttare le audience, mentre il digitale si afferma come lo spazio ideale per creare nuove relazioni attraverso linguaggi nativi e contenuti originali.

A ostacolare una crescita ancora più robusta del settore sono principalmente tre fattori, come è stato spiegato nel corso della presentazione. Il primo si collega alla disponibilità di risorse: il 58% degli intervistati afferma che investirebbe di più in branded entertainment se disponesse di budget di comunicazione più consistenti. Questo evidenzia come il branded entertainment sia ancora spesso considerato un elemento accessorio, tattico e non sempre integrato nella strategia complessiva di comunicazione. Un secondo aspetto riguarda la visione: il 20% degli intervistati dichiara di adottare un orientamento di breve periodo, un approccio che rischia di ostacolare la costruzione di narrazioni solide ed efficaci. Infine, emerge un tema di conoscenza: il 39% segnala la necessità di maggiori evidenze sull’efficacia del branded entertainment, facendo emergere una comprensione ancora parziale degli strumenti di misurazione e una definizione degli obiettivi non sempre allineata.

Questi elementi confermano come il mercato sia ancora in una fase di maturazione, ma al tempo stesso rappresentano un’occasione concreta di miglioramento e una leva per sprigionare appieno le potenzialità del branded entertainment all’interno delle strategie di comunicazione. Perché solo definendo obiettivi chiari e misurando l’efficacia si possono ottenere risultati concreti.

OBE e UPA verso una convergenza dei dati e delle metriche

«L’analisi presentata da OBE conferma che il branded entertainment è una leva capace di generare valore reale per i brand. La sua efficacia va oltre l’awareness, incidendo su dimensioni più complesse come la familiarity e il trust, KPI tra i più sfidanti da attivare. Per liberarne appieno il potenziale servono però una maggiore integrazione strategica, una visione di lungo periodo, l’utilizzo sistematico della misurazione e una regia in grado di valorizzare il contributo di tutti gli attori coinvolti. Solo così ogni euro investito potrà tradursi in un ritorno concreto di valore», ha detto Anna Vitiello, Direttore Scientifico di OBE.

«L’aspetto decisivo oggi è la misurazione. Spesso si pensa che sia già una prassi diffusa, ma la realtà racconta altro. Eppure, oggi il branded entertainment è misurabile con metodologie consolidate: dal tracking con indagini a campione, ai modelli multivariati sulle vendite e su altre variabili di performance. OBE ha messo a sistema strumenti semplici, accessibili e super partes, a supporto di brand e operatori. Ora la priorità è diffondere questa cultura; perché solo misurando si cresce e si trasforma l’esperienza in valore concreto», ha aggiunto Erik Rollini, Consigliere di OBE e Managing Director di EssenceMediacom.

«Il branded entertainment è la forma di comunicazione più efficace nel creare un ponte autentico tra brand e persone. Crescono gli investimenti e, soprattutto, cresce la consapevolezza che questo media sia in grado di generare risultati concreti laddove altri strumenti faticano: costruire fiducia, familiarità e un legame duraturo con i consumatori. La vera sfida per il futuro sarà accompagnare la crescita del branded entertainment verso la piena maturità, rendendolo un asset sempre più centrale e strategico per le aziende», ha spiegato Emanuele Nenna, Presidente di OBE.

Per la prima volta, la ricerca ha potuto contare dunque sul sostegno di UPA, l’associazione degli investitori pubblicitari, per la sua messa a punto.
«OBE collabora con UPA da diversi anni. Ora l’obiettivo è rendere questa collaborazione ancora più strutturata, in particolare per fornire al mercato dati convergenti sul valore del branded entertainment», ha aggiunto Nenna.
«Con Marco Travaglia (presidente di UPA, ndr) ci siamo visti di recente proprio con questo obiettivo. Negli incontri ci siamo detti che sarebbe interessante e utile per tutto il sistema che le nostre rilevazioni diventassero condivise, magari con eventuali aggiustamenti. Il tema, adesso, è iniziare a ragionare insieme su cosa serve esattamente, quali strumenti abbiamo già e quali invece sono disponibili sul mercato. Dobbiamo capire che tipo di convergenza può esserci, per esempio, in Audicom, e verificare se da lì possano emergere dati condivisi e co-firmati da OBE e Audicom, dal momento che entrano in gioco anche gli auditor e metriche già esistenti. L’importante è allinearsi su un linguaggio comune ed evitare di produrre informazioni che parlino “lingue diverse” o che possano risultare contraddittorie tra loro».

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