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26/06/2025
di Rosa Guerrieri

Francesca Grilli, Cognitive: «Il contesto sta diventando un limite per le potenzialità del dato»

Per Francesca Grilli l’utente deve tornare al centro delle strategie media, riportando il contesto a un ruolo di supporto che non limiti la potenza del dato e la sua capacità di raggiungere risultati

Francesca Grilli, Managing Director di Cognitive

Francesca Grilli, Managing Director di Cognitive

Negli ultimi 5 anni, le ombre della cookieless-era promessa da Google hanno influenzato la scala di priorità con cui il mercato ha valutato il media. In un mondo senza cookie i contesti rilevanti, coordinati con la natura del prodotto, e di qualità, intesa come percezione del sito da parte dell’utente, sono diventati elementi centrali nelle preferenze di erogazione degli annunci. Per contro, la capacità di affondare nella conoscenza dell’utente, dei suoi interessi e delle sue abitudini sembrava messa in crisi dal vuoto tecnologico creato dall’abbandono dei cookie.

Il mercato però si è rimboccato le maniche, lavorando a soluzioni che superano i limiti dei cookie e permettono di ottenere una profondità di targeting ancora maggiore. Oggi è possibile sapere in quale momento della giornata l’utente è aperto a valutare i messaggi pubblicitari e quando è impegnato, quando esprime la necessità di acquistare un prodotto e quando questa necessità è stata soddisfatta, quando nasce una nuova passione e quando una sua passione storica si esaurisce.

Considerando questa rinnovata potenza degli strumenti di targeting, viene da chiedersi:  dobbiamo ancora considerare contesti e inventory premium come elemento prioritario nell’approccio al media? Lo abbiamo chiesto a Francesca Grilli, Managing Director di Cognitive.

«Contesti e inventory sono molto importanti, ma il cuore dell’advertising (e del marketing in generale) è sempre stato il target. È in riferimento ad esso che nascono i prodotti, ed è ad esso che mirano le campagne. Contesti e inventory sono fattori che aumentano il valore della campagna, possono creare una maggiore risonanza del messaggio ma non sono condizioni necessarie. Se una campagna non raggiunge i giusti profili, non può essere efficace. Il contesto è tornato centrale, ricordiamo che già lo era nella prima epoca della storia della pubblicità online, nel momento in cui è stato necessario far fronte a una (potenzialmente) ridotta disponibilità di dati e strumenti di targeting. Insomma, abbiamo applicato il miglior piano B, in un momento in cui il piano A era inapplicabile. Ma, ora che siamo tornati in possesso di questi elementi, è importante ristabilire un ordine gerarchico che rimetta al centro l’utente e che sia basato sulla ricerca di risultati efficaci e guidati dai dati.»

Quale ruolo assumerà quindi il contesto? E quale significato strategico?

«Il ruolo del contesto rimarrà comunque importante. Soprattutto nelle campagne di awareness, in particolare in quelle di specifici verticali, svolge un ruolo di supporto nel posizionamento del brand e nella valorizzazione di un prodotto grazie all’associazione con la qualità del contenitore all’interno del quale appare. Ma, di nuovo, se raggiunge gli occhi di un utente fuori target, resterà una impression sprecata. Inoltre, grazie alla profondità dei dati a disposizione possiamo affiancare al concetto di “contesto editoriale” quello di “contesto di fruizione”. Valutando il valore di un annuncio rispetto a un consumatore, ad esempio, bisogna considerare il momento in cui quest’ultimo ne fruisce. Se è rilassato e ha a disposizione del tempo, questo è più propenso ad approfondire, a dedicare attenzione all’offerta e magari a cliccare per dare un’occhiata al sito. E se siamo in grado di definire i suoi interessi, utilizzare una impression in un contesto editoriale slegato dal brand, ma in un contesto di fruizione più interessante e su un utente in target, risulta più efficace rispetto a una ricerca religiosa del matching tra contenuto e messaggio pubblicitario. Certamente senza prescindere dalla brand safety. Questo approccio porta con sé una forte ottimizzazione degli investimenti e la capacità di ottenere risultati migliori su reach più ampie.»

Dunque continua ad essere valida dal suo punto di vista la narrativa secondo cui il contesto editoriale di qualità aumenta l’attenzione verso l’annuncio?

«Assolutamente. Ma va considerato anche il modo in cui questa narrativa è stata sviluppata. Se compariamo la memorabilità, la considerazione o l’attenzione che una campagna ottiene in un contesto editoriale premium in rapporto a uno considerato di qualità minore, il risultato è sicuramente a favore del primo. Ma l’utente di fronte al messaggio è davvero quello che vogliamo raggiungere? E in quale circostanza sta fruendo il contenuto? La gerarchia delle necessità di una campagna dovrebbe, a mio modo di vedere, partire dalla definizione degli utenti, poi considerare la disponibilità di tempo e d’animo per entrare in contatto con il messaggio, e solo successivamente occuparsi del contesto al quale il messaggio è associato.

Cognitive, attraverso dati proprietari, è in grado di definire quali sono i device che l’utente utilizza mentre lavora e quali mentre si rilassa, in quali momenti è più propenso a cliccare su un’inserzione e che tipo di contenuti legge quando lo fa. Non è sempre così diretto il rapporto tra lettura di un articolo, tempo a disposizione e interesse per un prodotto. Ed è questo che intendo per rimettere l’utente al centro, e ottimizzare le campagne. Poi se, rispettati questi insight, si eroga in un contesto editoriale premium allora si ottiene il massimo possibile.»

Che tipo di ottimizzazione porta con sé questo approccio in confronto alle campagne che privilegiano il contesto?

«L’ottimizzazione offerta da questo approccio si focalizza su due ambiti: economico e prestazionale. Utilizzare strumenti di tracciamento a lungo termine, che seguano l’utente per molti mesi, significa avere un quadro nitido delle sue abitudini, delle sue preferenze e dei suoi interessi. In questo modo è possibile comporre audience estremamente reattive e raggiungerle nei momenti in cui hanno dimostrato la massima apertura ai messaggi pubblicitari. Un brand di cucine che eroga un annuncio all’interno di una pagina che contiene una ricetta, di certo associa il messaggio al contesto, ma probabilmente raggiungerà l’utente mentre si sta destreggiando tra fornelli, scodelle e coltelli, e questo non avrà la concentrazione giusta per notare l’annuncio. Proporgli la pubblicità dopo aver mangiato, anche mentre legge un contenuto su un nuovo film in uscita se questa è la sua passione, genererebbe un impatto maggiore. Inoltre diversificherebbe le inventory per seguire il miglior contesto di fruizione per il singolo utente, con una conseguente riduzione dei costi dovuta alla natura diversa degli spazi.»

Quali strumenti utilizza Cognitive a supporto di questa visione?

«Come detto, in primo luogo è importante concentrarsi sul dato. In Cognitive, utilizziamo il Cognitive ID, una tecnologia di tracciamento 100% cookieless che permette di raccogliere insight sul consumatore per oltre 12 mesi, costruendone la “cognitive footprint”. Si tratta di un quadro del consumatore che si arricchisce nel tempo, definendo e aggiornando in tempo reale le caratteristiche sociodemografiche, gli interessi, un profilo “attitudinale”, la sua posizione nel funnel e le sue abitudini all’interno del processo d’acquisto. Questo strumento ci permette di raggiungere le audience più in linea con il brand e con la fase del funnel a cui è riferita la campagna. Inoltre, Cognitive adotta un approccio Tech Neutral, che attraverso l’integrazione con oltre 10 DSP e SSP consente di raggiungere l’utente sul 100% delle inventory italiane, garantendo allo stesso tempo la piena brand safety. Nel nostro schema strategico, una funzione fondamentale è ricoperta dall’Artificial Intelligence, che opera come ottimizzatore per la scelta delle piattaforme di acquisto, degli editori, e delle inventory in base all’utente da raggiungere, alle sue abitudini, e agli obiettivi specifici della campagna.

La longevità del tracking offerta dal Cognitive ID abilita poi a campagne Full Funnel, che accompagnano l’utente per tutto il percorso d’acquisto coordinando i messaggi di campagna con lo step del funnel in cui l’utente si trova. Utilizzare questo approccio già in fase di awareness, oltre ai vantaggi già presentati precedentemente, significa creare una catena del valore che definisce con maggiore precisione i pattern che portano i consumatori dall’awareness alla conversion, dalla conoscenza del prodotto all’acquisto. 

In conclusione, i contesti di qualità e l’abbinamento dei messaggi pubblicitari ad essi restano un grande valore, ma che deve essere subordinato al valore dell’utente in relazione alla campagna, e al valore della campagna per l’utente. È questo il vero matching a cui bisogna aspirare.»

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