Mio figlio, come altri trecentocinquanta milioni di persone al mondo, gioca a Fortnite. Credo di condividere con molti la condizione di genitore che deve continuamente cercare di limitare il tempo speso dal figlio (quasi sempre maschio: le femmine hanno altre piattaforme di riferimento) tra vittorie reali, headshot, floss dance, kill e altre apparenti futilità. Sforzi titanici ma quasi sempre inutili.
Tra un tentativo disperato e l’altro ho cercato di studiare la piattaforma e soprattutto come i giocatori la utilizzino. L’aspetto che mi colpisce di più di Fortnite è la componente di interazione “fisica” tra i partecipanti. Mio figlio, nella sua cameretta, si accanisce in chat animatissime con i suoi compagni, e queste discussioni sono fondamentali nella dinamica del gioco: servono per decidere se andare a combattere a Borgo Bislacco o a Parco Pacifico e per migliorare il risultato complessivo della squadra aiutando i compagni a non essere “killati”.
Fortnite è un mondo virtuale ma ha bisogno dell’interazione fisica per funzionare al meglio. È un “luogo/non luogo” dove le due dimensioni non esistono e si uniscono in una terza dimensione totalmente nuova, parallela e immersiva, che è nello stesso tempo molto regolata (ci sono zone, armi, munizioni, vite, tornei ben definiti) ma apparentemente libera per i partecipanti che hanno migliaia di opzioni di gioco con dinamiche ed epiloghi sempre diversi.
Benvenuti nel «Metaverse», un neologismo, anche se risale al 1992, che unisce “Meta” (oltre) e “Universe”, uno sterminato campo di gioco per milioni di persone ma anche la nuova frontiera per brand che in questi nuovi mondi devono trovare modi nuovi per costruire relazioni con i consumatori presenti e futuri.
L’aspetto a mio parere dirompente, la grande discontinuità, è che il lockdown ha catapultato tutti noi in una sorta di Metaverse. Durante la pandemia il digitale è diventato, per necessità, il luogo principale dove si sono spostate le attività sociali e di business, il centro di un universo che in tempi brevissimi ha costruito le sue regole. Non è tridimensionale né divertente come Fortnite ma ha i suoi sottomondi, i suoi modelli di interazione, le sue piattaforme tecnologiche di riferimento.
La versione «full online 1.0» di questo Metaverse (basata su smartworking totale, videocall, chat, webinar, hashtag restateacasa) sta arrivando a scadenza, ma le regole del “prima” sono state spazzate via e la vita passata nel Metaverse 1.0 segnerà a mio parere in modo fortissimo il nostro “dopo”.
Nel dopo non potremo fare moltissime cose e potremo farne moltissime altre. Lo shift verso il digitale è stato brutale e non lascia scampo. Come ho già scritto, essere digitali non è più una opzione. Ma la dimensione fisica rimane, e aziende e brand dovranno ricostruire la relazione con i loro clienti/consumatori cambiando radicalmente i modelli consolidati e la relazione tra le due dimensioni, on e off. Per questo keyword come multicanalità, customer experience, performance, customer journey devono essere completamente riscritte.
Una delle parole chiave del prima era «ecosistema». Le aziende sviluppavano piattaforme tecnologiche che facilitavano il business e la relazione tra le persone. Erano i “terrapiattisti dell’ecosistema”, che vedevano il digitale come una distesa dove le persone si muovevano orizzontalmente tra i vari strumenti, ovviamente tutti di loro proprietà.
I Brand operavano all’interno di questi ecosistemi ma seguendo le regole dei terrapiattisti: movimenti orizzontali tra siti, social, app, passaggi normati dalle regole delle piattaforme. Il COVID ha cambiato la percezione del mondo e ha creato la famosa terza dimensione. Alcuni esempi: prima parlare di eventi fisici o digitali era una cosa normale, dopo sarà impossibile pensare a un evento fisico senza considerare il fatto che le persone continueranno a parteciparvi da remoto e online, anche perché i luoghi dove normalmente si tenevano gli eventi dovranno far fronte a mille cambiamenti per rispettare le regole di sicurezza. Acquistare un prodotto di moda in un negozio sarà sempre un’esperienza divertente ma un brand retail dovrà tenere conto che milioni di persone avranno capito concretamente che ordinarlo online e riceverlo a casa è probabilmente meno emozionante ma più sicuro ed efficiente.
Chi si occupa di marketing, ma in generale chi gestisce un business, dovrà imparare a “pensare in 3D”, costruendo e/o diventando parte di mondi che recepiscono questi nuovi modelli di comportamento.
Siamo ancora agli inizi e il come costruire questi mondi è ancora un tema in divenire. La partita si giocherà a mio parere nel campo dell’”esperienza”. Gli attuali ecosistemi dovranno necessariamente evolvere per migliorare e rendere più calda e coinvolgente l’esperienza utente.
Ed è per questo che i videogame come Fortnite segnano la via. Travis Scott, un rapper americano di 28 anni, ha realizzato su Fortnite un concerto live che ha avuto 12 milioni di partecipanti. Io ho sociologicamente partecipato al concerto e ho capito (chi lo ha visto sa di cosa parlo) la potenza devastante del Metaverse e quanto sia enorme il suo potenziale per i Brand. Nessun Facebook, nessun Instagram ha questa capacità di coinvolgimento, a meno che non lavori pesantemente per trasformare la propria esperienza utente. Nessun Brand potrà più pensare ad un evento o ad una azione di engagement senza considerare la dimensione del Metaverse.
Continuerò a lottare per limitare Fortnite a mio figlio, cercherò di fargli apprezzare anche il bello di una partita a basket o la lettura di un libro, ma continuerò anche a esplorare questo nuovo mondo e a cercare di capire come il Metaverse andrà a trasformarsi e in quali forme diventerà parte della nostra vita quotidiana. Sperando naturalmente che gli headshot rimangano solo virtuali e che la floss dance non diventi il sostituto della stretta di mano.