Il mio amico Maurizio è una bella combinazione di razionalità e di sentimento, di pragmatismo e di sogno. Lo conosco da anni, abbiamo condiviso un percorso comune e ammiro di lui la capacità di mantenere sempre la barra dritta e arrivare ai suoi obiettivi anche quando sono apparentemente poco deterministici, quasi onirici.
La vita di Maurizio è fatta da tante vite diverse.
La prima è simile a quella di molti di noi: è stato un manager della finanza impegnato a risolvere problemi, a rispettare scadenze, a portare risultati. Un’esistenza frenetica, focalizzata sul lavoro, che gli ha però consentito di raggiungere un benessere economico importante.
La seconda è il frutto di una scelta precisa ma dove entra forte la dimensione del sogno. Vuole riempire una casella mancante: quella dei figli. Inizia un percorso condiviso con sua moglie che li porta ad adottare quattro fratelli colombiani, termina la sua avventura lavorativa e si trasferisce da Milano in una grande casa in campagna vicino al Lago di Garda.
Le sue sono scelte coraggiose ma comunque dettate dalla razionalità: cambiare ritmo, trovare un nuovo equilibrio con una famiglia che da due diventa di sei, ricostruire un mondo di relazioni. In Maurizio la dimensione della spiritualità è sempre stata forte, vera ma comunque immersa in un mondo di certezze. Una vernice per rendere ancora più nitida la sua costruzione di vita.
La terza vita è invece figlia di un trauma, o meglio di una forte discontinuità. Una malattia che arriva improvvisa e sconvolge in pochi giorni i suoi punti fermi. Tutto si resetta e la realtà appare in tutta la sua crudezza. Inizia un altro percorso, molto concreto, di cure e interventi chirurgici, ma nello stesso tempo un percorso spirituale, ora meno ammantato di certezze, per affrontare e provare a vincere questa battaglia. Questa vita è quella di oggi.
Maurizio ha aperto un agriturismo e coltiva mirtilli. La consapevolezza e la meditazione per lui non sono una facciata, ma il modo per attivare un profondo lavoro di introspezione. Da praticare e da far praticare agli altri. L’ho ascoltato a lungo, le sue parole mi hanno fatto molto pensare e non riesco a non collegarle al momento che stiamo vivendo.
Mi ha detto: “La malattia mi ha aiutato a guardare con più chiarezza dentro me stesso. Mi sono reso conto di quanto ancora dovessi lavorare per mettermi davvero in discussione e fare scelte realmente ‘totalitarie’, uscendo dalla mia confort zone”.
“Mettersi in discussione porta a momenti di crisi molto forte, attraverso cui però si rinasce come individui diversi, le persone che veramente siamo. Un grande responsabile di questo cambiamento è l’EGO, che deve essere ridimensionato. L’Ego ci ha guidato verso i successi professionali ma ci ha fatto anche vivere troppo proiettati su noi stessi. Molte sono le trappole che si trovano sul cammino del cambiamento: per esempio il giudizio degli altri, che può generare sensi di colpa e debolezze, e che talvolta fa tornare indietro.
Approfondendo le dinamiche della nostra mente ci si rende conto di quanto, presi dallo stress quotidiano, siamo succubi delle abitudini e dei giudizi collettivi. Essendo nati nella parte occidentale del Mondo, tutto è basato sul materialismo, spesso anche l’approccio alla religione e alla spiritualità. La cultura orientale è invece più focalizzata sull’analisi di sé stessi, ed è stata per me un potente acceleratore del cambiamento”.
“La malattia per me non è un male: occorre ‘farsi amica la malattia’ e farsi accompagnare da lei in un percorso di cambiamento personale, piuttosto che cercare all’esterno la motivazione”.
Spesso le persone entrano in crisi quando lasciano quello che rappresentano e non quello che veramente sono. È il momento di investire il nostro tempo in quello che si è, perché è questo che rimane”.
Durante il lockdown, ogni persona ha avuto la possibilità, nel silenzio della propria casa, di sentire sensazioni nuove che non dovrebbero essere dimenticate. Da queste sensazioni si dovrebbe ripartire per ridefinire, con i diversi tempi personali, nuove priorità.
Non esiste una sola soluzione per uscire dalla crisi creata dal COVID. Credo però che sia fondamentale un cambio di paradigma. Coltivare mirtilli come Maurizio non è una riduzione ma una scelta che guarda lontano, una rappresentazione tridimensionale della ricerca di un equilibrio che non sia basato su luoghi comuni ma frutto di una riflessione profonda.