Quando penso alla parola “profondità” mi viene subito in mente il mio amico Leo.
Leo Papone è una delle persone meno digitali che conosca: si è sempre occupato di costruzioni e restauri con la sua azienda di famiglia, radicata da secoli in una zona bellissima della Liguria, quel pezzo di terra che va da San Lorenzo al Mare fino a Sanremo. Vive con sua moglie e sua figlia in una splendida casa davanti al mare e lavora in un paesino che si chiama con il suo stesso nome: Torre Paponi.
Torre Paponi è un tipico borgo in pietra dell’entroterra ligure, appollaiato su una montagna, con una strada tutta curve per arrivarci e un dedalo di viette strette e ripide con porticine e finestrelle che si aprono su spazi angusti e bui. Nella piazza del paese si gioca al balòn, la pallapugno o pallone elastico, ed è una cosa molto molto seria.
Leo ha ristrutturato la torre del paese, e ha scelto una per una, scavando tra le colline e setacciando i greti dei torrenti, le pietre da inserire nella costruzione. Ogni pietra doveva corrispondere al tipo usato in origine, non era concepibile utilizzare materiali che non fossero profondamente collegati alla sua storia. Un lavoro di anni, fatto di studio, ricerca, passione. Lui dice che “le pietre non sono tutte uguali”, ma solo uno studio approfondito può farne scegliere una piuttosto che un’altra.
È un esperto di restauro di chiese e monumenti antichi, un lavoro a metà tra l’arte e l’ingegneria. “La bellezza”, racconta, “è fatta da tanti dettagli e non è solo la superficie. Le persone devono vivere nella bellezza perché è simbolo di civiltà, voglio che mia figlia capisca cosa questo voglia dire. Restaurare una chiesa significa riportare in vita la sua bellezza, che è una combinazione di storia, arte, architettura e valori”. La profondità è un punto fermo della vita di Leo, senza profondità non potrebbe realizzare cose straordinarie.
Io credo che il digitale abbia fatto perdere importanza al valore della profondità.
Il digitale vive di una “esperienza utente” che è spesso così semplice ed appagante da farci dimenticare cosa ci sia dietro. Nel mondo fisico il funzionamento delle cose era più esplicito, un motore era fatto di cilindri, bielle, pistoni. Facebook è fatto di bit e quando mettiamo un “like” non si sente un “vroom” come quando accendiamo la macchina. Questa smaterializzazione dell’esperienza ci ha resi più veloci ma meno profondi. Accettiamo condizioni contrattuali senza leggerle, condividiamo news senza verificarle, sintetizziamo in uno sticker una frase, scarichiamo film in prima visione dalla rete senza pensare se sia legale o meno.
I giovani nativi digitali vivono questa superficialità come normale, non hanno mai conosciuto il mondo analogico e approcciano i problemi con una visione salvifica della tecnologia che è in grado di far ottenere tutto, in modo rapido e diretto. Tutto si trova in rete e basta combinare app, contenuti e canali, prevalentemente social, per raggiungere i propri obiettivi.
Io credo che parlare di profondità diventi oggi fondamentale. Chi vorrà davvero ripartire non potrà limitarsi alla superficie, dovrà necessariamente entrare nel dettaglio, studiare, farsi domande e fare domande. Soprattutto noi che lavoriamo nel digitale dovremo dimenticarci le facili keyword, le condivisioni di articoli in inglese senza capirli, le slide colorate e ad effetto, quello che chiamo “bullshit generator”. Dovremo lavorare come Leo per far capire che “le pietre non sono tutte uguali” e che il risultato finale è la combinazione di tanti fattori (design, grafica, piattaforme tecnologiche, integrazione di sistemi, sviluppo software, marketing, dati, comunicazione, canali, terminali e tanto altro). Ripartire sarà durissimo e dobbiamo sentire forte la nostra responsabilità. Dovremo anche riuscire a formare una generazione di esperti digitali che siano consapevoli della complessità, e non si limitino a guardare i problemi ma sappiano entrare nel dettaglio per risolverli e fornire soluzioni concrete.
Anche il digitale deve trovare la sua bellezza. Per ricostruire la nostra Torre Paponi occorre tanta passione. Io lavoro benissimo con i giovani e adoro la loro voglia di fare e il loro entusiasmo. Sanno cogliere il bello delle cose, senza i nostri retaggi e le nostre recriminazioni. Insegniamo loro il valore della profondità e la loro forza e passione faranno il resto.
Il motto deve essere “più profondità per una nuova civiltà”, una civiltà aperta al futuro ma anche più consapevole di cosa fare per raggiungerlo.