Gianfranco Delfini, direttore marketing Clai
Connessione emotiva, accessibilità, qualità dei prodotti, garanzia sul patrimonio d’origine. Su questi valori, Gruppo Clai (Cooperativa Lavoratori Agricoli Imolesi), azienda specializzata nel settore dei salumi e delle carni fresche bovine e suine, ha costruito la sua nuova immagine di brand, presentata al pubblico con un articolato piano di comunicazione. Il progetto è stata coordinato da Gianfranco Delfini, direttore marketing del Gruppo CLAI, che in questa intervista ci racconta i dettagli del rebranding e la sua personale visione della comunicazione del comparto agroalimentare.
Gianfranco, tu hai un’esperienza ventennale in ambito marketing, presso varie realtà aziendali. C'è stato un "fil rouge" che ha accompagnato le tue esperienze di marketing nelle società in cui hai lavorato?
Sì, c’è stato ed è strettamente connesso al mio modo di “concepire” la figura del Direttore Marketing. Una figura che deve lavorare in modo inclusivo e sinergico con le altre funzioni aziendali al fine di creare valore agendo sulle distintività e sulle specificità di ogni realtà, attraverso modalità e soluzioni innovative di medio/lungo periodo finalizzate a consolidare, rafforzare e sviluppare il percorso valoriale stesso. Il tutto contestualizzato al mercato e all’epoca in cui si opera, fungendo da collettore tra l’interno e tutto ciò che c’è all’esterno, cioè la “vita reale”.
Dal tuo punto di vista, come sta evolvendo il mondo della comunicazione nel settore agroalimentare?
Il nostro è un settore molto conservativo, ancorato a concetti basici e costantemente utilizzati quali tradizione ed expertise, artigianalità, filiera e “vicinanza”. Oggi stiamo assistendo a un cambiamento nel modo in cui sono comunicati questi concetti. Gli strumenti più utilizzati sono il mezzo digitale, anche e soprattutto vista l’impossibilità di partecipare a fiere ed organizzare eventi, il packaging, la tv e radio. Definiti gli strumenti, è poi fondamentale che dal contenuto della comunicazione emergano i valori distintivi di ciò che si vuole enfatizzare. Non esiste ovviamente una modalità unica. Tutto dipende dal tipo di prodotto, dal settore e dal contesto in cui l’azienda lavora. Ogni situazione va valutata singolarmente e specificatamente. C’è però un tema di fondo comune: un problema di tempo e di attenzione.
Anche durante la pandemia, in cui i tempi si sono dilatati ed il ritmo tendenzialmente rallentato, c’è comunque una carenza di tranquillità e serenità che non consentono di avere la lucidità e la “prontezza” d’animo per fare ragionamenti importanti. Per cui si deve cercare di predisporre un asset comunicativo articolato in termini di consistency, dove pochi messaggi o, meglio ancora, un messaggio unico, risulti chiaro, semplice, facilmente e immediatamente comprensibile, ripetuto più volte e su diverse piattaforme; e multicanalità, privilegiando la modalità di fruizione più gradita dall’utente.
Parliamo del Gruppo CLAI, come mai avete deciso di intraprendere un percorso di rebranding? E come ha influito la pandemia in questo progetto?
Fin dall’inizio del primo lockdown, nel clima di incertezza e paura che si era venuto a creare, è apparso evidente come il consumatore si rifugiasse nei suoi valori interiori più radicati e “originari”: richiesta di prodotti italiani, sicuri, tracciati, di qualità, in cui fosse verificabile e distinguibile il fattore “umano”. Tutti valori importanti, che coincidevano con quelli “propri” e distintivi di Clai. Abbiamo subito capito che l’occasione era irripetibile: potevamo proporre il rebranding, finalizzato ad esprimere meglio i valori della nostra identità, proprio nel momento in cui la domanda del mercato del nostro settore chiedeva con forza proprio quegli stessi valori.
In realtà l’attività di rebranding era stata pianificata per essere operativa nella primavera 2021, perchè il precedente marchio di Clai non era più coerente con le strategie “di marca” che si volevano attuare. Mancava coerenza con il posizionamento qualitativo auspicato e l’aspettativa di un miglior posizionamento sul mercato. La pandemia non ha impedito l’esecuzione del rebranding ma ha creato qualche difficoltà in più del previsto in termini di fornitori ed impossibilità di organizzare e/o partecipare a situazioni che ne avrebbero consentito una maggiore e migliore comunicazione, per esempio fiere, eventi sul territorio e attività in store.
Clai ha una storia unica, particolare, distintiva. Ci serviva una competenza capace di raccontare questo mondo con immagini, tratti, segni. Ecco perché abbiamo scelto Rob Janoff, l’ideatore della mela di Apple, designer di fama mondiale particolarmente noto ed apprezzato proprio per la sua capacità di rappresentazione iconografica. Rob si è distinto con un modo di lavorare professionale, preciso e valoriale, e anche con noi ha dimostrato il suo grande talento nel tradurre la nostra storia nel nostro nuovo marchio.
Il "Progetto Valore" di Gruppo Clai che include il rebranding, orientato ad innalzare il posizionamento qualitativo dei brand della società, è solo all’inizio. Quanto durerà e quanto budget avete stanziato?
Il progetto di rebranding è iniziato a luglio del 2020 ed è strutturato su un piano quinquennale. L’investimento complessivo è di oltre 12 milioni di euro.
Come avete comunicato il rebranding?
Abbiamo attivato una copertura mediatica trasversale su quotidiani nazionali, in primo piano “Il Corriere della Sera” e “La Repubblica”; quotidiani e radio locali, in particolare nelle zone di nostra maggiore diffusione e vendita come Emilia Romagna, Lazio, Sicilia e Puglia; spazi specifici su canali televisivi nazionali come “TgCom” e “Tv 2000”; canali social con il particolare coinvolgimento di blogger e influencer; e partnership editoriali come nel caso di Cook de Il Corriere della Sera che ha portato ad una collaborazione sia sulla carta stampata che sul web, dove siamo partner del sito cook.it, o con l’Hub Food di Mondadori con iniziative sui canali di Giallozafferano.