Federpubblicità: «La nuova Digital Tax è iniqua e sbagliata, urgono modifiche»
“La Digital Service Tax in Italia, detta anche Web Tax, da come si delinea con la legge di bilancio approvata alcuni giorni fa, è iniqua, ingiusta e sbagliata”. Con queste parole Claudio Varetto, presidente di Federpubblicità, esprime la posizione dell’organizzazione di Confesercenti che riunisce gli operatori pubblicitari sulla nuova formulazione della tassa sul mercato digitale contenuta nella nuova Legge di Bilancio.
L’imposta del 3% sarà applicata senza più alcun limite di ricavo a tutte le imprese che usano la rete per la pubblicità digitale su siti e social network, l’accesso alle piattaforme digitali, i corrispettivi percepiti dai loro gestori e anche la trasmissione di dati ricavati dagli utenti. “Innanzitutto, non si tratta di una tassa sull’ecommerce, come la maggior parte pensa. Si applica invece ai servizi digitali (siti, piattaforme, app…) e alla pubblicità online. Esisteva già precedentemente e, come era costruita, aveva una sua logica. Fino ad ora veniva infatti applicata a chi raggiungeva un determinato fatturato di milioni di euro a livello globale, di cui più di 5,5 milioni di euro in Italia. Era quindi un’imposta rivolta ai grandi player con sede all’estero (Ott) che attualmente già detengono da soli la maggior parte del mercato pubblicitario digitale in Italia. La tassa era stata quantificata in un 3% del fatturato, e non sull’utile, perché, essendo aziende internazionali, l’utile viene tassato nella sede fiscale dove risiedono, quasi sempre non in Italia”.
La nuova manovra, togliendo le soglie di fatturato, estende così la tassa a tutto il mercato italiano digitale, fatto di piccole aziende, molte piccolissime, anche molte partite Iva individuali, che già sono gravate attualmente da molte imposte, essendo residenti in Italia. “Quindi, invece di incentivare lo sviluppo della digitalizzazione del Paese, vengono così tassate ulteriormente le piccole imprese italiane con un’imposta aggiuntiva che, ripeto, è sul fatturato e non sull’utile. Così si rendono sempre meno competitive le nostre aziende, favorendo ulteriormente quelle internazionali. Tra l'altro comunque l'ecommerce in Italia è già tassato al 40% e non sono solo Amazon &C, ma anche i piccoli negozi che fanno vendita su articoli particolari, per esempio gli agriturismi che vendono prodotti di propria produzione o società di trasporto anche pubbliche che vendono biglietti tramite siti online”.
“È tutta la filiera che viene colpita. Interi comparti del Paese, agenzie di comunicazione, editoria, informazione, vengono messi in seria difficoltà. Aziende come Amazon hanno tutto: rete, vendita, pubblicità. Ma i soggetti italiani ritassati sul fatturato, neanche su quanto incassato, sono soggetti che offrono servizi. Se si vuole estendere a tutti quelli che fanno ecommerce la formulazione della norma va chiarita in linea con quanto disposto dalla norma UE che colpisce le big tech per salvaguardare le imprese europee. Tra l'altro così si tassano anche i fornitori della digitalizzazione della PA (pensiamo agli SPID, ai fascicoli elettronici, etc.) aumentando anche le spese stesse dello Stato”.
Conclude Varetto: “Le attività online e offline sono attualmente integrate e su questi servizi le agenzie di comunicazione fatturano e pagano Iva e tasse. Resta perciò incomprensibile che in totale difformità rispetto alla formulazione della norma europea non si distingua tra ecommerce e attività di produzione dei contenuti per la rete e i social. A nome degli iscritti al mio sindacato, di tutti gli operatori e per il bene del Paese stesso, chiedo a gran voce che la Digital Service Tax venga modificata, in linea con la normativa Ue”.