Per la GenZ il consumo è un modo per esprimere la propria individualità. Per quanto, a uno sguardo esterno, possa apparire come individualistica e troppo concentrata sulla self-expression, la GenZ è in realtà una generazione alla continua ricerca del senso di appartenenza. Un’appartenenza, però, che può riguardare simultaneamente gruppi diversi, anche in apparente contrapposizione fra loro.
Questo perché - come evidenziato anche da un report di Impero - quella della GenZ non è un’individualità statica, ma in continua evoluzione, fluida e non “tribale”, come è invece stato per le generazioni precedenti. È proprio in questo contesto che vanno via via rafforzandosi le community digitali che, da Twitch, Reddit a Tiktok, riuniscono i membri della GenZ intorno a interessi, valori e cause sociali comuni.
Questo è particolarmente importante per i brand, soprattutto nel momento in cui vanno ad approcciare piattaforme come Tiktok, dove comprendere il concetto di community si configura sempre più come il fattore “make it or break it” delle loro strategie digitali. In primis, la segmentazione tradizionale del target - su base geografica, demografica o economica, ad esempio - sta diventando sempre più obsoleta. La GenZ si riunisce in spazi digitali virtuali che esulano dalla categorizzazione rigida del “Marketing 1.0”, aggregando persone di ogni nazionalità, orientamento sessuale, identità di genere o background socio-economico personale, in maniera genuina, empatica, creando veri e propri “safe spaces” dove poter esprimere liberamente la loro individualità, ma - allo stesso tempo - ritrovare sé stessi, essere capiti. In breve, essere “visti”.
Andando più nel concreto, esiste un trend estremamente popolare e vincente su Tiktok che è la più alta definizione di questo bisogno della GenZ di essere vista: il POV. Il POV - che vuol dire letteralmente “point of view” - non è altro che un video, spesso comedy, nel quale i creator ricreano situazioni di vita altamente relatable per gli utenti, riviste dal loro punto di vista. E il gioco di parole non è casuale.
Parlando di
content strategy, infatti, la capacità di presentare contenuti ad alto tasso di
relatability è, più di ogni altro, il fattore di successo ed è anche la cosa più difficile da riprodurre per un brand. In primo luogo, perché spesso e volentieri manca l’
insight reale sulla GenZ e si finisce spesso per riproporre una versione stereotipata della realtà, cadendo un po’ nell’effetto Signor Burns vestito da giovane.
In secondo luogo, poi, molti brand hanno troppa paura di mettersi in gioco, preferendo mostrare sempre lo stesso volto troppo istituzionale su tutte le piattaforme, anche quelle che invece riscuotono grande successo fra la GenZ proprio perché sono spazi digitali che respingono il fake, dove lasciarsi andare alla vulnerabilità, dove farsi vedere per quello che si è veramente: imperfetti, umani.
Se quello della perfezione e dei contenuti estremamente curati ed artefatti è stato il trend che ha reso vincenti piattaforme come Instagram per la generazione dei millennial, con questa generazione la parola chiave è relatability. O per dirla alla GenZ: “amio, troppo noi”.