“Il tempo degli eventi è diverso dal nostro”, scriveva Montale, ma è noto e provato come il Nobel genovese non avesse sottoscritto alcun account Tik Tok, né fosse impegnato a elargire cuori su Instagram. Oggi, uscendo dal riferimento letterario, il tempo ha una dimensione nuova, stretchata dalla tecnologia, scandita dai lockdown, ma esiste - ancora - come occasione per soddisfare la ricerca del rapporto con l’altro. Per questo si fanno e si faranno sempre gli eventi: perché lì l’altro lo si incontra realmente, che sia un fan, un consumatore, un brand.
E allora gli eventi ci sono (e dovevano tornare) per riempire di nuovo la dimensione fisica delle generazioni - soprattutto le più giovani - in crisi d’astinenza da contatto, per mettere muscoli, ossa, sangue e polmoni, prima di pixel e filtri, perché alla fine esserci resta sempre un’esperienza unica, emozionante e memorabile, rispetto all’averlo visto attraverso un qualsiasi media (anche in live streaming a banda larga).
Ma due anni di sospensione portano con sé una riflessione ulteriore e una maturazione sociologica necessari a inserire narrativamente l’evento, anche all’interno di un discorso di marketing che non può prescindere dalla sua declinazione content. L’evento allora si fa (anche) contenuto, dimensione concreta di uno storytelling che si concede all’amplificazione con un prequel, un live e un follow up, massimizzando l'investimento (oltre al tempo e al luogo in cui “si accendono le luci sul palco”).
Questo implica una mutazione dell’approccio strategico nel concepire l’evento (e la sua execution), con la finalità di renderlo già finalizzato al racconto, inteso come piattaforma di vita, come dimensione di confronto essenziale per posizionare un prodotto o per orientare un pubblico. Ciò significa che l’evento deve trovare una sua ragionevole candidatura a tool per creare capitale narrativo (e valoriale), capitale che si aggiunge a quello economico, sociale, culturale e simbolico nel definire un brand.
Come si traduce tutto questo nella pratica, tra i ferri delle americane, le divise delle hostess e i soundcheck dei microfoni? Siamo donne e uomini ossessionati dalla concretezza, e alla teoria prediligiamo l’esposizione esemplare di progetti sviluppati nel ‘22 che possano, di seguito, restituire il know di Artena nel soddisfare sul territorio questa ambita fusione tra evento e contenuto.
BENETTON
L’evento diventa contenuto come racconto in prima persona nel progetto che celebra, a livello territoriale, la collaborazione Ghali-Benetton e la sua capsule collection. Niente truck, ma airstream per accogliere il pubblico come a casa, niente piazza del Duomo ma periferie, perché la storia che si racconta nasce lì. Sette tappe in tutta Italia cucite insieme dallo storytelling di un narratore d’eccezione, Ghali.
ORO SAIWA
L’evento diventa contenuto nella riqualificazione, insieme a Oro Ciok Saiwa, di un playground di un’associazione che aiuta ragazzi della periferia milanese. Qui il racconto supera la sua pagina live e diventa eredità tangibile che regala costanza al rapporto tra brand e territorio. E a chi lo abbiamo fatto raccontare sui social? A Gianmarco Tamberi e a Cecilia Zandalasini che con lo sport ci hanno costruito una carriera di successo.
FONZIES
L’evento diventa contenuto quando il pubblico si rivela la più potente fonte di amplificazione nativa, e allora le strutture e le interazioni vanno pensate in chiave content, ossia capaci di essere sfondo e ingaggio immediato per massimizzare la partecipazione dell’audience e la sua voglia di condividere sui social. Con questi obiettivi ben a mente abbiamo concepito allestimento e palinsesto per lo stand Fonzies al Jova Beach Party di quest’anno.
“Il tempo degli eventi attraversa il nostro”, potrebbe scrivere oggi Montale, con parole di certo migliori delle nostre.