di Redazione

Il futuro del targeting? «Brand suitability e approccio contestuale»

Robin Zieme e Luca Di Cesare di Channel Factory affrontano il tema dell’imminente scomparsa dei cookie di terza parte nella comunicazione online: ecco le loro soluzioni per coinvolgere i clienti di oggi e di domani

Da sinistra: Robin Zieme e Luca Di Cesare

L’imminente e definitiva scomparsa dei cookie di terza parte continua a essere il tema dominante del mondo del marketing. Sembra che quasi ogni giorno spuntino nuove opzioni per sostituire i cookie con ID universali, dati di prima parte o machine learning, tanto che IAB Europe ha preparato una guida con aggiornamenti e spunti sulle soluzioni alternative che si stanno progettando.

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo scritto a quattro mani da due manager di Channel Factory, Robin Zieme, Chief Strategy Officer, e Luca Di Cesare, MD Italy and Spain. Nell’articolo, Zieme e Di Cesare affrontano il tema del “cookieless” dal punto di vista della società specializzata nell’ottimizzazione delle strategie di comunicazione su YouTube, offrendo una serie di soluzioni per coinvolgere i clienti senza ricorrere ai cookie.


È fuorviante credere che i marketer possano sostituire una tecnologia con un’altra simile. Forse è arrivato il momento di spostare il focus da "Cosa sostituirà i cookie?" a "Come possiamo continuare a mantenere gli obiettivi di crescita prefissati e la possibilità di raggiungere il target in modi nuovi, attraverso diversi canali e dispositivi?”. E forse abbiamo bisogno di introdurre anche un tocco “umano” per raggiungere il target correttamente e permettere ai brand di essere più consapevoli e informati sulla pubblicità e sui contenuti.

Il contextual audience targeting

Esistono già soluzioni di dati contestuali, ampiamente testate, che consentono di targettizzare e rendere scalabili le campagne in modo altrettanto efficace o addirittura migliore rispetto ai sistemi basati sui cookie.


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Grazie a una tecnologia in grado di esaminare e valorizzare i contenuti consultati dagli utenti, è infatti possibile ottenere indicazioni precise basate sugli interessi in quell’esatto momento, e non più sulle informazioni ricavate dalla cronologia di navigazione; questo approccio consente di adattare dinamicamente il messaggio pubblicitario alle aspettative dell’utente rimanendo fedele al contesto del contenuto che sta fruendo.

In realtà, i consumatori riconoscono istintivamente il contextual targeting, che è infatti il modo in cui i brand hanno sempre fatto pubblicità e che, nel mondo digitale, può essere attuato con modalità ancora più intelligenti: il modo in cui riconosciamo il consumo di contenuti può essere infatti usato anche per capire in tempo reale cosa sta succedendo e quale contenuto sta suscitando interesse. Questa analisi ci permette di associare, di conseguenza, un messaggio pubblicitario contestuale in grado di aumentare il coinvolgimento e l’awareness degli utenti.

Brand Suitability e contextual targeting

Il concetto di Brand Suitability è, a nostro avviso, una delle strategie di targeting più efficaci ma, allo stesso tempo, ancora troppo poco conosciute. Si tende infatti a pensare che la Brand Suitability consista solo nell’utilizzo di liste di esclusione molto dettagliate e rigide e rappresenti quindi uno strumento poco scientifico e troppo brutale.

L’approccio corretto, invece, è immaginarla come un’attività di targeting proattivo e contestuale. Infatti, anziché identificare gli argomenti da evitare, le strategie di Brand Suitability aiutano i brand a definire, identificare e trovare i contenuti a cui vogliono essere associati e, di conseguenza, a migliorare le performance.

Paradossalmente, nel periodo d’oro dei cookie, la pianificazione basata unicamente sull’audience avrebbe potuto far apparire un messaggio pubblicitario accanto a qualsiasi tipo di contenuto, anche se per il brand sarebbe stato meglio non esservi accostato.

Sfruttando un approccio di targeting basato sul contenuto, invece, un brand può avere la certezza che i propri messaggi vengano associati solo a contesti idonei e in linea con la propria identità, garantendo automaticamente sia la Brand Safety che la Brand Suitability: due concetti che qualche volta si tende a confondere ma che sono complementari ed ugualmente necessari. Infatti, non tutti gli annunci riconosciuti come Brand Safe sono adatti, pertinenti e contestuali. Lasciateci chiarire la differenza.

Brand Safety e Brand Suitability 

Noi consideriamo le politiche di Brand Safety come reattive: un insieme di accorgimenti che aiutano i brand a evitare quei contenuti che tutti vorrebbero bloccare.

La Brand Suitability è, invece, realizzata su misura, proattiva e unica per ciascun brand. Un approccio Brand Suitable garantisce un corretto allineamento dei contenuti, tenendo conto di quanto siano rilevanti l’immagine, il tono del messaggio e i principi di fondo di un brand per i suoi clienti.

Nel clima pandemico di oggi, la Brand Suitability è ancora più rilevante. I consumatori vogliono una comunicazione autentica e sincera: sbagliare il contesto o essere abbinati a contenuti discordanti con la propria immagine può generare nei consumatori reazioni negative. Un sondaggio condotto nel 2019 da TAG / BSI ha rivelato che l’82% del campione intervistato ridurrebbe gli acquisti di prodotti pubblicizzati in un contesto inadeguato. Come potrebbe essere altrimenti? Che altro ci si potrebbe attendere, ad esempio, da un utente esposto a una pubblicità dal tono allegro e spensierato mente sta informandosi sulla situazione critica generata dal Coronavirus? L’assenza di strategie di Brand Suitability costituisce un rischio che un brand non può permettersi.

La Brand Suitability si basa sulla percezione e sulla personalizzazione per assicurarsi che il contenuto associato a un messaggio pubblicitario sia in linea con l’immagine del brand e con le aspettative dei suoi clienti. E, quando questa viene abbinata a strategie di Targeting Contestuale e all’intelligenza umana, risulta sicuramente l’approccio più efficace per coinvolgere i clienti di oggi e di domani.

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