I Social dopo Cambridge Analytica. Blogmeter: «Servono etica e trasparenza»
Alberto Stracuzzi, customer intelligence director della società, analizza i risvolti della vicenda che ha messo in evidenza la necessità di conciliare i diritti delle persone e l’utilizzo dei dati
Il 18 marzo due articoli del Guardian e del New York Times hanno posto all’attenzione della pubblica opinione il caso Cambridge Analytica. Un caso che, avendo evidenziato come ci possa essere un uso troppo spregiudicato dei dati degli utenti, ha preoccupato l’opinione pubblica, il mondo finanziario e le istituzioni e che ha portato Facebook a introdurre nuovi strumenti per la gestione dei dati - come nuove modifiche per le API e una policy sui dati più chiara o con criteri di trasparenza sulla costruzione e aggiornamento di liste di utenti a cui gli inserzionisti inviano campagne - e a fare maggiori controlli, rivedendo e bloccando se necessario tutte le applicazioni che hanno avuto accesso alle informazioni degli utenti.
La vicenda ha sottolineato come per chi opera nel digital ci sia la necessità di conciliare i diritti delle persone e l’utilizzo dei dati e come si debba agire seguendo un codice etico e con la dovuta trasparenza.
Engage ha approfondito la questione con Alberto Stracuzzi, Customer Intelligence Director di Blogmeter: «Al netto della questione “politica”, per cui i dati sarebbero stati utilizzati da un’agenzia terza per tentare di influenzare il voto dei cittadini statunitensi, Facebook non ha fatto nulla di esplicitamente illegale: l’acquisizione dei dati è avvenuta in base ad una policy conosciuta, comunicata e approvata dall’utente che ha fatto “click”. Possiamo sindacare sul fatto che dati degli amici di tale utente siano stati acquisiti. La vicenda ha dimostrato quindi come esistano agenzie che seguono criteri di etica e deontologia professionale e trattano i dati in maniera trasparente mentre altre non lo fanno. Nella vicenda di Cambridge Analytica noi vediamo una mancanza di “principles” non una violazione di legge».
Quindi la vicenda ha prodotto alcuni impatti positivi: «Per il nostro settore, il caso Cambridge Analytica ha chiarito che occorre un set di principi nel trattare le informazioni degli utenti. Principi che comportano trasparenza. Le società come Blogmeter attive nella social media intelligence, ad esempio, forniscono esclusivamente informazioni di pubblico dominio aggregate per costruire indici, indicatori, evidenze statistiche. Da parte loro, i social, soprattutto Facebook, hanno quindi rafforzato la tutela degli utenti e questo è un ulteriore risvolto positivo del caso”.
Tra i lati negativi della vicenda, «ci sono, invece, la confusione sugli avvenimenti e il fatto che non sia stata effettuata una efficace distinzione tra le società che agiscono in maniera trasparente da quelle che non lo fanno», commenta Stracuzzi.
Ma quali saranno le conseguenze per il mercato? «Nell’immediato direi poche: chi agisce con correttezza sa dimostrarlo ad esempio certificando il modo con cui accede ai dati e con cui li usa». Nel lungo periodo, vicende come questa possono portare all’introduzione di norme più stringenti per quanto riguarda il trattamento delle informazioni personali: «Tra i rischi dell’adozione di norme più restrittive per la raccolta di dati sui social, ci sarebbe la restrizione della raccolta di “opinioni”. E tutto questo, unito ad altre forme di restrizione al contatto con i consumatori, si tradurrebbe in mancanza di conoscenza da parte del mercato di informazioni fondamentali che permettono, ad esempio, di fornire alle persone servizi personalizzati o di sapere qual è il ritorno di una campagna pubblicitaria per l’investitore. Chi, come noi, si occupa di aiutare il dialogo tra consumatori e aziende non può non segnalare questo rischio, che danneggerebbe in primis i consumatori e le aziende, cioè gli stessi soggetti che il legislatore vorrebbe tutelare».