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23/04/2021
di Andrea Di Domenico

Agenzie di comunicazione, il rapporto Censis-Ital Communications: ruolo fondamentale contro le fake-news

Rischio disinformazione: 29 milioni di italiani durante l’emergenza sanitaria hanno trovato sul web e sui social media notizie false o sbagliate. Essenziale il ruolo delle 4.389 agenzie di comunicazione, dove lavorano 8311 professionisti

Attilio Lombardi, Founder di Ital Communications

Attilio Lombardi, Founder di Ital Communications

Solo il 13,9% degli italiani giudica “equilibrata” la comunicazione sul Covid-19. Di contro, per il 49,7% dei nostri connazionali l’informazione attorno alla pandemia è stata “confusa”, per il 39,5% “ansiogena”, per il 34,7% “eccessiva”.

La colpa, come evidenzia il rapporto Ital Communications-Censis “Disinformazione e fake news durante la pandemia: il ruolo delle agenzie di comunicazione”, presentato venerdì al Senato, è principalmente della cosiddetta “infodemia”, ossia quel “sovraffollamento comunicativo” che ha aumentato ansia, allarme sociale e visioni distorte della realtà.

Secondo il presidente del Censis, Giuseppe De Rita, "la scelta che è stata fatta durante la pandemia è stata quella di privilegiare una comunicazione disordinata e a forte carica emotiva, sacrificando flussi di informazione affidabili e di qualità”. Sotto la lente in particolare il web, che se da un lato ha allargato la platea del mondo dell’informazione portando più libertà, più protagonismo, più notizie, dall’altro porta a meno intermediazione e controlli sulla qualità e la veridicità delle news.

L’infodemia comunicativa, ha detto Attilio Lombardi, Founder di Ital Communications, "ha reso difficile orientarsi tra fonti attendibili e meno attendibili, lasciando spazio alla proliferazione delle cosiddette 'fake news”. Questo scenario evidenzia il ruolo fondamentale delle agenzie di comunicazione, unici argini contro la cattiva comunicazione, operatori chiave del settore nel garantire supporto all’immagine dei propri clienti e qualità dell'informazione veicolata per i media".

Covid e informazione

Sono stati ben 50 milioni (il 99,4% della popolazione adulta) gli italiani che hanno cercato informazioni sulla pandemia da diverse fonti, informali e non, creando un proprio personale palinsesto informativo in cui media tradizionali e social media hanno avuto uno spazio rilevante.

Al primo posto, 38 milioni di italiani hanno cercato informazioni sul Covid-19 sui media tradizionali, come televisione, radio, stampa. Seguono i siti internet di fonte ufficiale, primi tra tutti quelli della Protezione Civile e dell’Istituto Superiore della Sanità, cui 26 milioni di italiani si sono rivolti per avere un’informazione attendibile su contagi, ospedalizzazioni, decessi. Al terzo posto, circa 15 milioni di italiani, hanno consultato i social network. Dalla potenza informativa dei media tradizionali e del web sono rimasti esclusi solo 3,7 milioni di italiani, il 7,4% del totale: di questi, 3,4 milioni hanno consultato altre fonti e 300mila sono rimasti completamente fuori da qualunque informazione.

Confusione e ansia

Il risultato è stato un eccesso di flussi informativi generali, contraddittori e che in molti casi sono stati solo generatori di ansia. Tra i più giovani sono molto elevate le quote di chi ritiene che la comunicazione sia stata sbagliata (14,1% per i 18-34enni e 3,7% per gli over 65enni, a fronte di una media del 10,6%), e addirittura pessima (14,6% tra i millennials, 3,2% tra i longevi). La comunicazione confusa sul virus, anziché rendere gli italiani più consapevoli, ha veicolato paura: è di questa opinione il 65,0% degli italiani, quota che cresce tra i soggetti più deboli, arrivando al 72,5% tra gli over 65enni e al 79,7% tra chi ha al massimo la licenza media.

Per arginare la proliferazione delle fake news servono misure che pongano in primo piano la responsabilizzazione dei diversi attori che si muovono sul web: il 52,2% degli italiani pone l’accento sull’obbligo da parte delle piattaforme di rimuovere le false notizie, mentre il 41,5% ritiene che i social media debbano attivare dei sistemi di controllo (fact checking) delle notizie pubblicate. Prioritario, poi, avviare campagne di sensibilizzazione e prevenzione sull’uso consapevole dei social.

Sono 29 milioni (il 57,0% del totale) gli italiani che durante l’emergenza sanitaria hanno trovato su web e sui social media notizie che poi si sono rivelate false o sbagliate su origini, modalità di contagio, sintomi, misure di distanziamento o cure relativi a Covid-19. Effetti evidenti e preoccupanti, molto pericolosi, di una comunicazione senza intermediazione, in cui sono venute meno le barriere d’accesso e mancano i filtri per la verifica o il discernimento di qualità delle notizie.

Il ruolo delle agenzie di comunicazione

Per la prima volta dunque, i media, vecchi e nuovi, hanno avuto difficoltà a governare un contesto di improvvisa moltiplicazione della domanda, a causa della pandemia, confermando di avere sempre più bisogno di figure esterne affidabili e competenti. Le agenzie di comunicazione possono, secondo il rapporto, rappresentare validi argini contro la cattiva comunicazione poiché, mentre lavorano per valorizzare e supportare l’immagine dei propri clienti, operano anche per i media e per la qualità dell’informazione veicolata.

In Italia sono attive 4389 agenzie di comunicazione, dove lavorano 8311 professionisti. Si tratta di realtà aziendali in crescita negli ultimi anni (+12,5% dal 2015 al 2020) e aumentate anche nell’annus horribilis dell’epidemia sanitaria (+1,2%). Sono fortemente concentrate nelle aree del Nord del Paese: il 37,0% è nel Nord Ovest, dove si trova anche il 49,3% degli addetti e il 17,2% nel Nord Est, il 21,5% al Centro e il 24,3% al Sud e nelle isole. E’ un microcosmo fatto di realtà piccole e piccolissime, con una media di 1,9 addetti per impresa. A Milano ce ne sono 710 (16,2% del totale), con una media di 4,2 addetti ciascuna, a Roma 400 (il 9,1%), per una media di 1,8 unità ciascuna.

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