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10/11/2023
di Cristina Oliva

Roba da Donne con Global Thinking Foundation per uno studio sull'indipendenza economica delle donne

Presentato il primo rapporto della survey "L’iceberg della in-dipendenza"

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Nel corso dell’VIII edizione dell’Evento Annuale di Global Thinking Foundation, Women For Society, è stato presentato il report della survey sulla violenza economica di genere nel nostro Paese realizzato dalla Fondazione stessa insieme a Roba da Donne, testata giornalistica registrata che si occupa di attualità e intrattenimento con focus sui temi dei diritti, della parità di genere e dell'intersezionalità. 

Nel commentare gli esiti dello studio condotto su 1396 persone (di cui 1365 donne), Claudia Segre, presidente di GLT Foundation, ha messo subito in evidenza un
macrodato. Il 68,8% delle donne intervistate si dichiara economicamente indipendente, a fronte di un 31,2% che dipende da partner o altro familiare. Un dato che, a prima vista può sembrare rassicurante, ma che “va letto ricordando che in Italia solo il 55% delle donne lavora (rispetto a una media europea che supera il 70%)”.

La survey scatta la fotografia solo alla punta dell’iceberg della "in-dipendenza" economica delle donne in Italia. Come fa notare Ilaria Maria Dondi, direttrice responsabile di Roba da Donne: “Mancano infatti all’appello coloro - e sono molte - che non hanno accesso ai device, ai social, che non parlano l’italiano; ma anche colore che semplicemente pensano che parlare di soldi non sia roba da donne”.

Ecco quindi un focus su alcuni dati della survey.

Per quanto riguarda l'età, il 52,3% delle donne che ha risposto ha tra i 20 e i 35 anni, segue la fascia 36-65 rappresentata dal 44,2%: il che offre uno spaccato sulle fasce generazionali Millennials e Generazione Z.

Un altro fattore preso in considerazione è la geolocalizzazione. Il 59,3% di coloro che hanno risposto risiede al Nord. Una netta predominanza che però non trova rispondenza nel target cui è stata somministrata la survey, equamente distribuito su tutto il territorio italiano, con percentuali più alte sulle città di Roma e Napoli.

Come sottolinea Segre: “Va quindi indagata la ‘ritrosia’ del Centro e in particolare del Sud del Paese a partecipare ad una ricerca sociale così specifica, che può essere interpretata come disinteresse o minore consapevolezza sul tema o per una maggiore incidenza del peso di gerarchie sociali che combaciano con più alti livelli di disoccupazione femminile”.

Ecco i dati riguardanti il lavoro. Il 57,8% lavora full-time, il 21,5% part-time e il 18,6% non lavora anche se è in età lavorativa. Si noti che di questo 18,6%, il 3,7% delle donne, sebbene disoccupate, non cerca lavoro.

Da notare che un 12,9% delle intervistate precisa di lavorare part-time per scelta, il 5,6% di non lavorare per scelta (per prendersi cura di figli o familiari a carico) e l’8,6% di lavorare part-time causa di forza maggiore (intese sempre come cura e gestioni di figli o familiari).

Solo il 58% ha un conto corrente intestato personale. Il 12,9% ne ha solo uno intestato con il partner (11,6%) o altro familiare, e il 4,8 non ne ha uno, neppure
cointestato. Le decisioni inerenti ai soldi vengono prese insieme al partner in una percentuale compresa tra il 49,5 al 65,9% dei casi. Un terzo delle intervistate dichiara di non saper impostare un budget famigliare.

Le donne preferiscono non parlare di soldi con: il partner (33%), i figli (52%), i colleghi (quasi l’85%). Eppure, commenta Dondi: “Finché il discorso soldi resterà un tabù in famiglia (con i figli) e sul lavoro in particolare non sarà possibile contemplare una reale educazione, e quindi una reale cultura finanziaria”.

Rispetto alla violenza economica, il 13,9% dichiara di aver subito violenza economica. Il 17,6% non sa cosa sia. Il 67,6% pensa sia un reato. L’1% dichiara di sapere cosa sia e che non possa essere considerata violenza.

Conclude Segre: “Tenuto conto della scarsa conoscenza di questo tipo di violenza e dell’importanza della messa in atto di forme di tutela e prevenzione possibili, abbiamo ritenuto necessario partire da dati aggiornati, al fine di rafforzare le iniziative e progetti di formazione, di informazione e di porci nel ruolo di facilitatori del progresso necessario nel terzo settore rispetto a forme di intervento territoriali che comprendano anche la violenza economica”.

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