Nella sezione "Opinioni", Engage ospita articoli di approfondimento su temi caldi del mondo del digital scritti da esponenti dell'industria del settore. In questo contributo Marcello Gruppo, Senior Director, Research & Insights, Southern Europe di Ogury, esplora come i cookie, introdotti nel 1994 per migliorare l'esperienza utente, siano diventati centrali nel digital advertising, ma oggi stiano perdendo efficacia a causa delle crescenti preoccupazioni sulla privacy e delle normative come il GDPR.
Quando l'ingegnere di Netscape Lou Montulli inventò i cookie nel 1994, non avrebbe mai immaginato il ruolo centrale che avrebbero assunto per decenni nella comunicazione personalizzata. Questi piccoli frammenti di codice permisero a Montulli di creare carrelli in grado di ricordare quali articoli fossero stati scelti dagli utenti. Tuttavia, non ci volle molto a far sì che gli inserzionisti si rendessero conto delle tracce digitali lasciate dai cookie e della possibilità di utilizzarle nei processi di targeting e retargeting di utenti attraverso il web.
Oggi, i cookie stanno vacillando sull'orlo dell'obsolescenza. Questo è solo uno dei tanti cambiamenti che, negli ultimi anni, hanno portato alla crescente 'perdita di segnale', fenomeno con il quale l'affidabilità delle informazioni raccolte sulle caratteristiche degli utenti e del pubblico si è via via ridotta, a causa della crescente e necessaria attenzione sulla privacy dei dati. Quest’ultima, non a caso, è diventata una delle principali preoccupazioni dell’industria, toccando per primi i clienti, ed estendendosi ad inserzionisti digitali ed editori.
Per comprendere a fondo come si sia arrivati a questo punto e cosa riservi il futuro, è necessario esplorare come, in pochi anni, l'ecosistema della pubblicità digitale sia passato da un tracciamento passivo che permetteva di sapere troppo sui consumatori a rendersi conto che il modo migliore per conoscere il pubblico potrebbe essere semplicemente porre loro domande
2017 Apple apre le porte alla privacy
L’Intelligent Tracking Protection (ITP) di Apple è stata la prima grande iniziativa dell'azienda per affermarsi come campione della privacy, un ruolo che ha continuato a ricoprire nel tempo. L'ITP è una funzione integrata nel browser Safari di Apple, progettata per impedire agli inserzionisti di tracciare le attività degli utenti su diversi siti web, evitando che i segnali provenienti dai dati di un dominio vengano utilizzati per fare pubblicità mirata su un altro sito.
Questo ha innescato un continuo inseguimento tra Apple e i fornitori di tecnologie pubblicitarie: ogni volta che questi ultimi trovavano una falla per tracciare gli utenti di Safari, Apple la chiudeva con un aggiornamento. Da allora, Apple ha continuato a limitare la possibilità degli inserzionisti di tracciare i suoi utenti.
2018-2019: gli organismi di regolamentazione danno un duro colpo
Nel 2018, le preoccupazioni pubbliche per la privacy dei dati avevano raggiunto il loro culmine, con enormi fughe di dati che riempivano i titoli dei giornali. In risposta sono state introdotte normative come il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) dell'UE e il California Consumer Privacy Act (CCPA) che hanno innescato un cambiamento di paradigma in tutto il settore.
Le aziende sono state costrette a rivalutare come i dati degli utenti venivano raccolti e utilizzati, con l’implementazione del consenso esplicito e il tracciamento di tale consenso, permettendone anche la revoca ogni volta che i dati venivano trasferiti. Questa esigenza continua a essere ancora oggi una sfida per le aziende.
Il GDPR è stato un modello per le normative sulla privacy dei dati emerse in tutto il mondo e ha posto le basi per l'ecosistema pubblicitario incentrato sulla privacy che conosciamo oggi. Tuttavia, i fondamenti del targeting e del tracciamento sono rimasti invariati finché i cookie di terze parti sono rimasti il segnale più accessibile e utile per conoscere le caratteristiche del pubblico.
2020: Google scava la fossa per i cookie, ma non la riempie
Nel 2020, Google ha accelerato la scomparsa degli identificatori quando ha annunciato che avrebbe eliminato i cookie di terze parti da Chrome, il browser con la maggiore quota di mercato. Inizialmente, il piano prevedeva un periodo di transizione di due anni, ma Google ha ritardato più volte la rimozione dei cookie in risposta ai feedback del settore e alla necessità di perfezionare le soluzioni alternative.
L’annuncio ha in ogni caso dato una scossa, e spinto il settore dell’advertising a sviluppare e integrare soluzioni pubblicitarie che non dipendessero dai cookie di terze parti. Un esempio concreto riguarda gli editori, che, per mantenere e continuare a raggiungere il loro target di utenti, hanno deciso di concentrarsi sull’utilizzo dei dati di prima parte, dati ottenuti osservando il comportamento degli utenti durante le loro visite al sito web e l'uso delle app.
2021: Apple consente agli utenti di dire no al tracciamento e gli utenti scelgono questa opzione
Apple ha inflitto un colpo decisivo alla pubblicità comportamentale con il lancio del suo framework App Tracking Transparency (ATT) nel 2021. L'ATT richiede agli utenti di dare il consenso esplicito per essere tracciati su app e siti web, incluso l'uso del proprio IDFA (Identifier for Advertisers - Identificatore per gli inserzionisti) una sorta di ramoscello d’ulivo offerto a questi ultimi in seguito all’eliminazione dei cookie dal suo ecosistema con l'ITP.
Tutto questo ha aumentato ulteriormente la profondità della perdita di segnale: dopo il lancio, circa l'80% degli utenti ha scelto di non essere tracciato, riducendo notevolmente il volume degli utenti targettizzati per la pubblicità su iOS.
2021– Oggi: Google sperimenta con la Privacy Sandbox
Il ruolo di Google nell'ecosistema digitale, con Chrome che detiene il 65% della quota di mercato dei browser, ha impedito all'azienda di eliminare i cookie senza però offrire un'alternativa. Per soddisfare questa necessità, è nata la Privacy Sandbox: ancora in fase di sviluppo, questa raccolta di iniziative browser-based mira a bilanciare la privacy degli utenti con l’esigenza degli inserzionisti di raggiungere un pubblico di valore.
A metà del 2024, Google ha finalmente cambiato rotta rispetto al suo piano iniziale, passando ad un "approccio aggiornato che promuove la scelta degli utenti", interpretato, in linea generale, come un sistema opt-in simile a quello ATT, sebbene, al momento, non siano ancora stati forniti chiarimenti su cosa ciò possa comportare concretamente.
Ipotizzando che Chrome avrà un meccanismo di opt-in per i cookie, si stima che solo il 17% degli utenti lo adotterà. Tenendo conto di questa piccola fetta di utenti “con i cookie” di Chrome e considerando che il resto del mercato è costituito da browser privi di cookie, solo il 13% del pubblico dell’open web resterebbe raggiungibile tramite i metodi di targeting tradizionali.
I cookie, un tempo i custodi e i garanti delle metriche, saranno relegati a essere una nota a piè di pagina nel più variegato portafoglio dati dell’advertising del futuro, attento alla privacy.
Un settore che si affanna per un bacino di audience profilabile sempre più ristretto
La riduzione del pubblico raggiungibile e definibile a livello comportamentale ha generato notevoli difficoltà sia per gli inserzionisti che per gli altri attori della filiera del digital advertising.
È sempre più difficile per gli editori monetizzare i loro spazi pubblicitari, proprio a causa della mancanza di dati: una visita a un sito, e la conseguente esposizione a un contenuto pubblicitario, arricchita di informazioni comportamentali che sono utilizzabili per offrire contenuti dedicati, viene valorizzata molto di più rispetto ad una visita allo stesso sito che non porta con sé alcun dettaglio di profilazione. La perdita di segnale riduce i bacini di audience profilata e ad alto valore per gli inserzionisti, affondando anche i potenziali ricavi generati dall’ADV. Gli inserzionisti, invece, continuano a ricercare tecnologie pubblicitarie basate su ID di diversa natura, ID che però stanno diventando sempre più rari, portando gli inserzionisti in un circolo vizioso di alti costi e scarsa scalabilità dei volumi di audience raggiunta.
È fondamentale che entrambe le parti smettano di riporre tutte le loro speranze in una singola soluzione. Nessun metodo da solo, che si tratti di cookie, ID alternativi o dati contestuali è in grado di fornire sufficiente scalabilità per rappresentare accuratamente l'ampiezza e la profondità dei pubblici dell’open web. Sono necessarie soluzioni che combinino vari approcci e tecnologie che garantiscano di massimizzare sia la portata, sia la rilevanza dei contenuti offerti.
La partecipazione dei consumatori è il futuro di un mercato dei dati equo e trasparente
Dal 2017, la “perdita di segnale” ha spinto il settore del digital advertising a cercare di ottenere risultati migliori con una minore quantità di risorse. Allontanandosi da una iper-personalizzazione, resa possibile in precedenza dall'abbondanza di dati personali, il settore della pubblicità è stato costretto a tornare ai suoi fondamenti: sin dagli albori del marketing, i brand si sono affidati agli istituti di ricerca per comprendere i loro consumatori attraverso analisi dettagliate, ma su campioni ristretti; successivamente hanno tracciato passivamente le loro abitudini online per definirne i profili comportamentali digitali, analizzando grandi quantità di informazioni, con un livello di dettaglio molto profondo. Oggi, queste metodologie devono essere riadattate per la raccolta di dati che non si limitino all’analisi di un piccolo panel di utenti e, allo stesso tempo, non dipendano dagli identificatori pubblicitari per un tracciamento passivo.
Proprio per questo, c’è stata la riscoperta dei metodi di raccolta dati consolidati degli istituti di ricerca, caduti in disuso durante l'era selvaggia del tracciamento passivo, invasivo e del targeting inquietantemente preciso. Sondaggi e panel online, raggruppati sotto l'ombrello dei dati di "zero-party", permettono di avere dati approfonditi su larga scala e rendono le preoccupazioni sulla privacy obsolete, permettendo ai consumatori di condividere direttamente informazioni sui loro interessi, preferenze, atteggiamenti e intenzioni. Si tratta in pratica di permettere agli utenti di esprimere direttamente il loro sentiment riguardo a un brand, o la loro opinione su una necessità, o un prodotto e l'eventuale l'intenzione di acquistare, in modo preciso, evitando di fare assunzioni che potrebbero essere solo parzialmente vere.
Ci sono ancora forti preoccupazioni nel settore che la perdita dei segnali possa portare a campagne pubblicitarie meno efficienti. E qui i dati forniti direttamente dagli utenti giocano un ruolo fondamentale: sono in grado di creare un legame più solido con i consumatori, riducendo al minimo gli sprechi e favorendo fiducia e trasparenza in un contesto in cui la minimizzazione dei dati, l'ottimizzazione della filiera e la riduzione dei consumi energetici sono le priorità principali.
Combinando approcci tradizionali alla raccolta di dati con modelli statistici all'avanguardia, dunque, è possibile sfruttare al meglio le potenzialità di entrambi i metodi, tra precisione e scalabilità, generando un mercato dei dati in cui gli utenti sono partecipanti attivi anziché semplici portatori inconsapevoli di informazioni. Perché andare alla ricerca di segnali in un mare di rumore quando è possibile ottenere dati concreti direttamente dalla fonte?