Su Netflix è uscita una nuova produzione della famosa piattaforma di streaming, il teen drama fantasy Fate: the Winx Saga.
E qui comincia il delirio. Gioia ed eccitazione lasciano presto spazio alla paura: il live action del cartone della mia infanzia sarà all’altezza delle altissime aspettative? Sì, perché come tutte (o quasi) le ventenni italiane, anche io sono cresciuta guardando Winx Club, la serie animata sui cui è basata la serie Fate: The Winx Saga.
E quale ragazza della mia generazione non ha mai giocato alle Winx nel cortile della sua scuola elementare? Ancora oggi, per capire com’è stata l’infanzia (o almeno, quella fascia dai 5 ai 9 anni circa) di una ragazza della mia età, basta porgere una semplice domanda: che winx eri?
Per chi non sapesse cosa sia, Winx Club è il SailorMoon (notoriamente il cartone animato Millennials) della GenZ: una serie di animazione che, dal lontano 2004, conquista i cuori delle/dei più piccole. È un vero e proprio fenomeno internazionale, nato dalla penna italiana di Iginio Straffi, con protagoniste le fate adolescenti Bloom, Stella, Flora, Musa e Tecna che formano il Winx Club a cui si aggiungeranno, nel corso delle stagioni, anche Aisha e Roxy.
Ora, torniamo alla serie di Netflix. Spoiler alert!
La serie racconta le avventure delle cinque fate che frequentano Alfea, il college misto dell'OltreMondo, dove le protagoniste impareranno a gestire i propri poteri magici sfruttando le emozioni, mentre affrontano l’amore, le rivalità e i mostri che minacciano la loro esistenza con la sfacciataggine degli adolescenti dei giorni nostri.
Notiamo subito un forte distaccamento dal cartone originale: l’atmosfera sognante e poetica, gli abiti eccentrici coloratissimi e glitter come se piovessero lasciano spazio ad una versione più realistica del racconto. Niente più luccichio in ogni dove, le ambientazioni diventano scure e i personaggi più veri, a dimostrazione che i tempi sono cambiati e che soprattutto gli adolescenti di oggi sono cambiati.
L’aspetto che, però, più stranisce sono le scelte del casting e le caratterizzazioni (molto stereotipate, anche troppo) dei protagonisti. Se la serie originaria era fortemente inclusiva, grazie a personaggi di tutte le etnie in cui riconoscersi e a cui fare riferimento, il live action non rispetta questa caratteristica: Bloom e Stella rimangono di origine caucasica, Aisha resta di colore, mentre ci lasciano molto perplesse Musa, nel cartone di origine asiatica, e Flora, di provenienza sudamericana (che nel live action è sostituita dalla cugina Terra), che sono inspiegabilmente interpretate da due attrici caucasiche.
E la serie viene subito accusata dai fan di whitewashing, una pratica tristemente razzista (al pari del black face) ancora ampiamente diffusa nell’industria cinematografica. In cosa consiste? “Un attore caucasico ottiene il ruolo di un personaggio storicamente di un'altra etnia col fine di renderlo più appetibile al grande pubblico” [cit. Wikipedia].
Ma dai, siamo seri: nell’era del politically correct, ancora si ricorre a questi stratagemmi per rendere più appetibili al pubblico degli young adults (notoriamente attenti e sensibilissimi a tematiche di razzismo e inclusività) i personaggi per loro iconici? Decisamente controproducente.
Eppure questa scelta di casting entra in forte contrapposizione con la costruzione di un un altro personaggio in particolare: Terra. Lei non rispecchia minimamente i canoni estetici che connotano la serie: non è alta, magra, non veste alla moda, né ha sguardo seducente e carattere frizzantino. E allora perchè cadere nel tranello del whitewashing, se con Terra è stato fatto un ottimo lavoro “politically correct” tra bullismo e body shaming (a cui tra l’altro reagisce, dando ancora più rilevanza e forza al personaggio, rendendolo un modello aspirazionale)? Io non me lo so spiegare, anche perchè stata molto apprezzata dai fan, nonché uno dei personaggi migliori della storia e meglio scritturati.
E se possiamo trovare dei personaggi positivi, delle vere e proprie rivelazioni, è in Bloom, Stella, Sky e Riven che si nota una scrittura superficiale e una caratterizzazione fortemente stereotipata alla Tredici: i classici adolescenti americani medi (tra cui il solito bullo) che si trovano in ogni teen drama statunitense e, al momento, poco profondi e dalle conversazioni spesso imbarazzanti. È nei loro dialoghi che troviamo frasi politically correct che paiono buttate qua e là con leggerezza, senza alcun senso logico o che il contesto lo richiedesse.
Insomma, nonostante alcune scelte criticabili e altre meno, è una serie che sicuramente si lascia guardare e dal grande potenziale. Forse la grossa presenza di scelte e scene “politically correct”, che siano opinabili o meno, sono state fatte per catturare l’attenzione del pubblico young adults a cui la serie stessa è rivolta, oppure per rimandare a questo nuovo standard che Netflix sta diffondendo sempre di più nella nostra quotidianità.
Qualsiasi sia la motivazione, incrociamo le dita per una prossima stagione migliore, che non si riveli il prossimo Tredici. Nel mentre, torno a canticchiare la sigla di Winx Club. Peace out!