Negli ultimi anni il tema del bullismo è diventato sempre più rilevante, rientrando a pieno titolo all’interno delle emergenze sociali.
Oggi la forma più subdola di bullismo è sicuramente quella perpetuata in rete, dove cyberbulli ancor più codardi dei “bulli-offline”, incidono nella vita di migliaia di ragazzi, in Italia come nel mondo.
Per comprendere meglio il contesto, è necessario ricordare che ragazzi e adolescenti sono sempre connessi. Quella attuale è, infatti, la prima generazione di adolescenti cresciuta in una società in cui l’essere connessi rappresenta un dato di fatto, un’esperienza connaturata alla quotidianità, indipendentemente dal contesto sociale di provenienza.
E’ come vivere in una classe dove c’è un bullo che ti perseguita senza uscirne mai. Da una ricerca europea svolta nell’ambito dell’”Europe Anti-Bullying Project”, su un campione di ragazzi provenienti da 6 Paesi EU è risultato che il 15,9% dei ragazzi italiani è vittima di bullismo, online o offline.
Nell’ultima indagine condotta da Telefono Azzurro (su un campione di ragazzi italiani tra i 12-18enni) quasi 1 ragazzo su 10 (8%) ha dichiarato di aver diffuso informazioni/video che umiliano qualcuno. Più di 1 ragazzo su 6 (21%) ha dichiarato di essere stato vittima di bullismo e più di 1 su 10 (12%) individua in Internet il contesto in cui sono avvenute queste violenze con maggiore frequenza.
Sono dati sconcertanti, soprattutto perché spesso non si capisce la gravità delle azioni e delle loro conseguenze.
Ma se anche il Cyberbullismo colpisce principalmente la GenZ spesso però supera le generazioni e la più fervida immaginazione e si cala nella realtà in modo assurdo e ridicolo.
E’ questo il caso di una cara amica, ritrovatasi per caso, in quel che è stato un ulteriore e lampante esempio di come l’odio sia ceco, irrazionale e pericoloso.
Qui la sua testimonianza.
Prima di tutto raccontaci chi sei, cosa fai nella vita...
Mi chiamo Silvia Romano e ho 24 anni. Nella vita sono una freelance. Ho studiato Design della Moda, ho lavorato come grafica e creativa in agenzia. Oggi mi occupo di immagine, styling e direzione creativa nel campo musicale.
Recentemente sei stata vittima di cyberbullismo per un fortuito caso di omonimia, ci racconti cosa è successo?
Già a novembre di due anni fa, quando si diffuse la notizia del rapimento in Kenya di Silvia Romano, i miei profili social furono presi d’assalto. Mi ricordo che il mio profilo Instagram guadagnò 300 followers e che mi trovai a rifiutare altrettante richieste di amicizia su Facebook. Questo fatto mi toccò. Mi interrogavo sul perché una persona dovesse cercare sui social una ragazza appena rapita. In quel momento, però, era solo triste morbosità. Qualche settimana fa, invece, alla notizia della liberazione di Silvia Romano in Somalia, di nuovo i miei profili social sono stati presi d’assalto. La mia ultima foto pubblicata su Instagram (il 17 aprile, giorno in cui la “vera” Silvia era ancora nelle mani dei suoi rapitori), una serie di selfie e scatti da quarantena, ha iniziato a ricevere commenti come “bentornata!” “libera!”. Ben presto però, dopo le famose immagini del ritorno di Silvia in Italia a capo velato, questi commenti superficiali hanno iniziato a trasformarsi in odio: “Quanto ci sei costata?” “Vergognati!” e chi più ne ha più ne metta. La cosa che più mi spaventa è la superficialità e la facilità con cui si odia online. Una furia cieca, tanto cieca da non rendersi conto di stare insultando la persona sbagliata.
Come sai il fenomeno del bullismo attraverso la rete è un tema molto caldo, cosa si prova a viverlo in prima persona? Che sensazioni hai provato?
Non penso di averlo provato in prima persona. Quegli insulti non erano davvero per me. Non mi hanno fatto del male. Mi ha fatto però male pensare cosa stesse succedendo a Silvia, se quello che stava succedendo a me era soltanto una gocciolina nell’oceano di odio che le è stato catapultato addosso nel giorno che avrebbe dovuto essere per lei il più felice di sempre. La superficialità con cui queste persone odiano, mi ha colpita, mi ha aperto gli occhi su quanto il tema sia attuale e ancora più grave di quanto pensassi.
Come hai reagito, a chi hai chiesto aiuto?
All’inizio ho trollato le persone che mi insultavano. Magra consolazione. Poco dopo le mie storie di denuncia sono andate virali (insieme ad un mio tweet) e hanno iniziato a rimbalzare da un quotidiano all’altro. Ben presto sotto il post incriminato sono arrivati tanti, tantissimi, a difendere me e Silvia, e ad attaccare gli “haters”. Ho trovato curioso come l’odio online generi altro odio. Settimane dopo ancora ricevo messaggi indignati rivolti a Silvia, ma anche insulti direttamente a me, l’altra Silvia, per aver sfruttato la vicenda.
Che consigli ti senti di dare a chi dovesse trovarsi nella stessa situazione?
Ad oggi i passi da fare sono tanti e la meta è ancora molto, molto lontana. Ci sono però alcune organizzazioni legali che si occupano di odio online in maniera gratuita. Possono essere un grande aiuto, per quanto non risolvano il problema, possono dare una lezione a queste persone, che - magari - la prossima volta penseranno due, tre, quattro volte prima di sputare odio e insulti.