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18/05/2020
di Simone Freddi

La WPP di Simona Maggini: «La forza della squadra sarà il nostro plus»

Intervista alla nuova country manager di WPP Italia, in carica dal prossimo 1 luglio: empowerment femminile, rapporto con le associazioni, prospettive di mercato tra i temi toccati

L'intervista era programmata per le 13, un orario insolito. All'altro capo della linea c'è Simona Maggini, che il prossimo primo luglio prenderà da Massimo Costa le redini come Country Manager di WPP Italia, il più importante gruppo specializzato in servizi per il marketing e la comunicazione in Italia: una sessantina di società, 400 milioni di giro d'affari annuale, 2500 impiegati.

Il tono è cordiale e, mentre parliamo, si percepiscono in sottofondo deboli rumori che subito immagino legati a qualche incombenza domestica, e forse un bambino che gioca nei paraggi. Piccoli dettagli a cui ci siamo del tutto abituati in questi due mesi abbondanti di home working, ma che mi offrono lo spunto per iniziare l'intervista dalla condizione femminile: Simona Maggini è, infatti, la prima donna a capo di una holding della comunicazione nel nostro Paese.

Simona, una donna a capo della più grande azienda in Italia della comunicazione. E già questa è, di per sé, una notizia.

In effetti è una prima volta, ma sono sempre stata restia a fare leva su questioni di genere. Il merito e il lavoro contano e devono contare di più di una semplice appartenenza di genere. Preferisco pensare che l'azienda abbia voluto investire in un profilo che ha tante caratteristiche, in cui quella di essere donna non è il fattore principale.

Tu stessa, tuttavia, ti sei occupata di empowerment femminile attraverso Winspire Italia, il programma di WPP dedicato proprio a questo tema. Credi ci sia in generale un problema di scarsa valorizzazione delle donne nel settore della comunicazione?

Più che un problema specifico nel settore, diciamo che è indubbio che le donne in Italia faticano a occupare posizioni di leadership. Solo in parte dipende da barriere culturali: per una donna è più difficile arrivare a certi ruoli, per oggettive difficoltà nella gestione del tempo e delle responsabilità familiari in un Paese in cui gli aiuti alle famiglie sono scarsi. Non dipende quindi solo da chi deve dare investiture e non ne dà: a volte sono le donne che si trovano a decidere di fare un passo indietro, per impossibilità di gestire tutto. Non è obbligatorio fare un certo tipo di carriera, ma dovrebbero esserci davvero quelle pari opportunità rispetto alla quali c'è ancora molto da fare.

C'è una donna che ammiri in modo particolare, umanamente e professionalmente?

In assoluto direi Rita Levi Montalcini, a cui tutti ci ispiriamo per il coraggio e la determinazione a raggiungere risultati che sembravano preclusi in un mondo certamente diverso da quello di oggi. Tra le manager che conosco personalmente ce ne sono tante in gamba, tra tutte cito Barbara Labate, che attraverso ReStore tanto ha fatto per la trasformazione digitale del settore retail e Camilla Lunelli, la prima donna a ricoprire un ruolo di vertice nei cent'anni di Cantine Ferrari.

Molti pensano che la filiera italiana della comunicazione difetti della capacità di “fare sistema” a vantaggio di tutti. Sei d'accordo?

E' un problema non solo italiano, il mercato pubblicitario è frazionato su obiettivi diversi che è difficile rappresentare in modo unitario. Noi poi siamo il Paese dei mille campanili, e le piccole dimensioni complessive del mercato non aiutano a “pesare” molto nelle decisioni. Credo però che il quadro stia cambiando, anche grazie al lavoro di UNA.

A proposito, il presidente di UNA Emanuele Nenna chiede a gran voce il rientro di WPP nell'associazione. Ci sono margini?

Come dicevo, in Italia è difficile rappresentare in modo unitario gli interessi di un settore popolato da player così diversi per dimensioni, caratteristiche, obiettivi. Qualsiasi risposta alla domanda sarebbe prematura, ma siamo in costante contatto con UNA è c'è sicuramente disponibilità a parlarne.

Consideri Facebook, Google e Amazon degli amici o dei nemici?

Venendo dal mondo delle agenzie creative, non li ho mai considerati dei nemici, ma piuttosto partner importanti. A volte va capito bene come costruire collaborazioni con loro, ma quando succede nascono opportunità reciproche molto interessanti.

Per una società come WPP le sfide vengono più dalle società di consulenza, o dalle agenzie indipendenti?

Non c'è da fare una scelta, la competizione è accesa da tutti e due i lati. Le agenzie indipendenti ci sfidano sul territorio dell'output e del talento, che è dappertutto. Mentre le società di consulenza concorrono sul terreno della consulenza strategica e delle esigenze di digital transformation dei clienti. Anche noi abbiamo i nostri assi nella manica. Fa parte del gioco.

WPP è un colosso da 2500 persone: alla luce dell'attuale scenario di mercato, questa dimensione è un'opportunità o un fardello?

Dipende da quanto siamo in grado di mettere in campo la nostra unicità. Il nostro compito nei prossimi anni è fare in modo che l'articolazione di talenti e capability che rendono WPP quello che è sia un asset da orchestrare al meglio, per fare la differenza.

Quando avverrà il trasferimento nel WPP Village?

L'orizzonte è quello della primavera del 2021. L'epidemia di Covid ha bloccato i lavori per un certo periodo e ci costringe anche a degli interventi supplementari per assicurare la sicurezza delle persone e rispettare le indicazioni di distanziamento sociale. Ci sono state un po' di difficoltà ma era previsto nel momento in cui abbiamo puntato sulla ristrutturazione di un complesso storico come l'area ex-Richard Ginori, nell'ambito di quella che era e resta anche una grande operazione di give back alla comunità. Siamo a buon punto e darà vita a una grande opera a disposizione del sistema Paese.

Prevedete un calo del 20% degli investimenti pubblicitari quest'anno: Ti spaventa prendere in mano le redini di WPP in un momento così complicato?

Non ho mai avuto incarichi facili né la pillola indorata: non sono spaventata, ma sento certamente una grande responsabilità: rispetto alle persone che lavorano nel gruppo, innanzitutto, a cui dobbiamo garantire la salute e un futuro sostenibile e positivo. E anche responsabilità di guidare un'azienda che vuole giocare un ruolo importante come parte di una macchina italiana che riprende a girare a pieni giri, magari anche meglio di quanto fatto nel recente passato nel contesto Europeo.

Oggi il Premier Giuseppe Conte ha detto che tornare alla normalità è un po’ come imparare di nuovo a camminare. Hai la sensazione che il mondo che troveremo là fuori sarà un po' diverso?

La mia posizione è ottimista. Ciò che troveremo di diverso dipende dal fatto che certe cose per un po' non si potranno fare. Ma i cambiamenti imposti non sono veri cambiamenti, il cambiamento vero è quello che avviene spontaneamente. E quello che percepisco è, nonostante le necessarie restrizioni, una forte voglia di tornare alla normalità.

Quali sono le sfide principali che vi aspettano nei prossimi mesi?

Le sfide sono legate ai processi di rifocalizzazione strategica alla luce delle strategie globali definite dalla nuova leadership globale: gli elementi chiave due: il primo è la proposizione di WPP come creative transformation company, con grande centralità del concetto di idea e non solo come elemento della creatività pubblicitaria. Il secondo è un nuovo modello di collaborazione tra le tante agenzie e competenze del gruppo, che ha già portato a operazioni internazionali importanti come le integrazioni da cui sono nate VMLY&R e di Wunderman Thompson, nonché la cessione parziale di Kantar. E' un processo che va completato e presentato nel modo giusto a clienti e mercato. Da questo punto di vista, il Covid non ha cambiato le cose. Il concetto a cui legheremo il nostro futuro è “la forza della squadra”, ed è quello su cui io, Massimo Beduschi e gli altri leader di WPP Italia saremo focalizzati nel futuro.

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