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26/06/2023
di Simone Freddi e Francesco Leone

Molestie nelle agenzie pubblicitarie, voci su nuove “chat” e nomi di spicco. Gli sviluppi

Novità sull'indagine interna avviata da WAS. Intanto si attendono nuove testimonianze. Una professionista del settore ad Engage: “Il quadro è molto più ampio”

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“Siamo estremamente preoccupati per le conversazioni sessiste tra membri dello staff negli uffici di Milano che sono state riferite alla leadership del team italiano nel 2017. Siamo negli stadi finali per la nomina di un’azienda di alta reputazione che intraprenda un'indagine indipendente per scoprire cosa è successo. Esaminerà anche la cultura attuale degli uffici di Milano”. Così l’headquarter londinese di We Are Social ha risposto su LinkedIn ad una serie di commenti negativi da parte degli utenti ad un post della stessa agenzia dedicato al rapporto tra i brand e il Pride, a conferma di come il tema delle denunce di sessismo nel mondo del lavoro sia particolarmente sensibile e pericoloso per il mondo della pubblicità, dove è anocra più evidente l'importanza della coerenza tra quello che si dice e quello che si fa. 

Intanto in Italia, dopo l’esplosione della bufera per la ormai famosa vicenda della chat sessista di almento un'ottantina di dipendenti, i vertici di We Are Social hanno rilasciato una serie di interviste per tentare di difendersi dalle accuse, confermando di non avere mai saputo nulla della chat prima della denuncia di alcune dipendenti nel 2017 e, pur ammettendo di avere sottovalutato la vicenda, di non avere avuto finora piena consapevolezza di tutti gli elementi emersi nelle denunce recenti. «Ed è questo il motivo per cui stiamo ora aprendo un’indagine interna - ha detto a la Repubblica Gabriele Cucinella, uno dei tre fondatori della sede Milanese di We Are Social con Stefano Maggi e Ottavio Nava -. Avremmo dovuto farlo già allora, è stato un errore. Convocammo il senior team e condannammo l’episodio. Anni dopo, quando riemerse la questione, ne abbiamo parlato con tutta l’agenzia e abbiamo introdotto un codice etico e iniziative sulla diversity inclusion. Ma ora noi per primi vorremmo capire cosa sia successo davvero».

Grande rilevanza viene quindi data dall’agenzia alla nuova indagine interna. A Engage We Are Social ha detto che "l'indagine ha come obiettivo di valutare i nuovi elementi emersi, chiarire evenutali responsabilità e verificare la situazione attuale all'ìnterno dell'agenzia". 

Non ci sono invece, per ora, conferme ufficiali sulle voci di sospensione dei rapporti con We Are Social da parte di alcuni clienti di spicco, con almeno uno di essi che, contattato da Engage, ha riferito di stare osservando con attenzione l'evolversi della vicenda. 

Ad ogni modo, la denuncia del movimento MeToo delle agenzie pubblicitarie, così ribattezzato con il nome che gli è stato attribuito dal Safe Place dove, tramite un form di Google, vengono raccolte le testimonianze di professionisti e professioniste della industry, non si limita al singolo caso di We Are Social e dell’ormai nota “Chat degli 80”.

Lo si evince dalle Instagram Stories pubblicate da Tania Loschi, copywriter pluripremiata e con precedenti esperienze in agenzie di spicco nel panorama della pubblicità, nonché la prima a pubblicare e raccogliere le testimonianze di altri lavoratori del media e della comunicazione, in cui si fa riferimento ad altri nomi ricorrenti di agenzie e direttori creativi che sarebbero dunque al centro di nuove denunce di molestie e discriminazioni. Lo stesso messaggio è stato veicolato anche sui profili di altre professioniste della industry: “Non credete di cavarvela solo perché c’è un’altra agenzia sotto i riflettori”, si legge sul profilo Instagram di una di loro, “veniamo a prendervi uno per uno”.

A conferma del fatto che nei prossimi giorni potrebbero uscire nuove storie e nuove denunce anche un articolo di Selvaggia Lucarelli, uscito sabato su Il Fatto Quotidiano. “Intanto, in un’altra famosa agenzia internazionale si respira un clima di grande paura perché, secondo la testimonianza di alcuni ex dipendenti, una chat molto simile a quella di We Are Social esisteva anche lì, almeno fino al 2019. E anche in quel caso la faccenda fu gestita con grande superficialità”, si legge nell’articolo. “In particolare, in una delle più prestigiose agenzie, c’è molta agitazione per via di testimonianze di ragazze su molestie e umiliazioni pubbliche che convergono su uno dei soci. Non sono ancora uscite allo scoperto, ma nell’ambiente non sono un segreto”.

A proposito dell’iniziativa di denuncia che è stata intrapresa negli scorsi giorni, Engage ha raccolto la testimonianza di una professionista del settore, ex dipendente di We Are Social, che di recente ha pubblicato diversi video in prima persona in cui ha denunciato situazioni di malessere, molestie e intimidazioni ricevute sul luogo di lavoro.

Ai nostri microfoni ha raccontato che “Tante persone si sono attivate in modo indipendente, raccontando la propria esperienza anche per mettere in guardia i profili più junior rispetto alla realtà di alcune agenzie. La situazione è molto più ampia rispetto al caso We Are Social e rispetto a quanto è emerso all’inizio. Raccontare queste vicende è stato lo spirito che ha portato persone che all’inizio non si conoscevano a convergere in uno sforzo coeso. Donne diverse, con esperienze diverse che si sono rese conto di essere simili. All’esplosione del caso, altre hanno iniziato a scrivere e raccontare la loro storia a noi, personalmente, dopo i video che ho pubblicato ho ricevuto tanti messaggi, storie di altre persone che si sono chieste ‘come posso aggiungere la mia testimonianza?’. Tra di noi ci sentiamo, soprattutto per darci supporto e conforto reciproco, perché non è facile parlare. Non è facile vedere i messaggi che ci arrivano e che ci dicono che parliamo perché non siamo ‘soddisfatte a livello professionale’. Non è questo che ci anima, nessuna di noi vuole fare una lotta contro We Are Social, a noi non rende contente il fatto che ora sia We Are Social nella bufera, perché vediamo come il quadro sia molto più grande di così e meriti di essere più grande di così”.

Sullo sfondo resta sempre vivo il caso che ruota attorno a Pasquale Diaferia, noto pubblicitario che nelle ultime settimane è stato accusato direttamente da Massimo Guastini, noto pubblicitario ed ex presidente dell’Adci Massimo Guastini, di essere stato colpevole di molestie in modo reiterato a danno di giovani lavoratrici del settore pubblicitario. Nelle ultime settimane Diaferia è stato espulso dall’Art Director Club Italiano e intanto si moltiplicano i racconti delle donne che riferiscono di aver subito abusi dal “guru dei creativi”.

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