Dopo l'avvio della digital tax italiana, con la pubblicazione del provvedimento relativo all'imposta dei servizi digitali da parte dell'Agenzia delle Entrate del 15 gennaio, e l'arrivo sul sito dell'Ente del modello da utilizzare per comunicare i dati relativi all'imposta del 3% dovuta per il 2020, IAB Italia torna ad esprimere la sua posizione sul tributo.
Secondo il Presidente, Carlo Noseda, l'imposta attiva nel nostro Paese potrebbe non arrivare allo scopo per cui è stata realizzata: “La digital tax così come scritta rischia di non assolvere il compito per cui era stata fortemente voluta da più parti, IAB compresa. Prima di tutto l’ambito soggettivo, che così come impostato rischia di innescare una doppia imposizione fiscale per tutte quelle aziende che pur rientrano nei perimetri previsti dalla digital tax, già pagano le imposte dovute; secondo, un prelievo del 3% è da ritenersi irrisorio verso gli OTT oltre che limitativo non solo perché è la più bassa imposizione che esista in Italia, ma anche perché è tout court uguale per tutti, indipendentemente dalla reale capacità contributiva di un’azienda che opera nei servizi digitali. Piuttosto bisognerebbe identificare un’aliquota congrua che tassi i ricavi derivanti dai servizi digitali in maniera progressiva. Si tratterebbe tra l’altro di un veicolo di attuazione del principio costituzionale di progressività delle imposte, volto a riequilibrare l’attuale assetto concorrenziale ove pochi player detengono una posizione dominante a discapito delle altre aziende".
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La Digital Tax è stata al centro di un lungo dibattito negli anni scorsi. Anche l'Anso, Associazione Nazionale Stampa Online, a dicembre, aveva sottolineato come, con questa imposta, tutti gli editori che ospitano le pubblicità di Google vedrebbero tassare ulteriormente un ricavo già tassato.
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Il Presidente di IAB Italia suggerisce, quindi, altre soluzioni volte alla crescita dell'intero settore del digital: "Perché non pensare a una flat tax del 15/20% per tutte le aziende che investono nel digitale in Italia? Una soluzione di questo tipo stimolerebbe gli investimenti e creerebbe aziende innovative anche in Europa e Italia. La fiscalità non deve essere vista solo come un semplice “recupero” per le casse dello Stato, ma deve anche incentivare la nascita di piattaforme digitali locali. Il suo obiettivo deve essere di lungo respiro e atto a realizzare lo sviluppo di un’industria strategica per la crescita dell’economia nel suo complesso, ma che vive da anni un assetto concorrenziale assente, con gli OTT che hanno in mano la maggioranza e che possono contare su ingenti risorse finanziarie derivanti da un gettito fiscale pari a nulla. Il valore dell’industria digitale porta con sé rinnovamento e trasformazione in tantissimi altri settori adiacenti – la pandemia ha chiaramente palesato la sua portata in tanti settori –. L’importanza strategica di questa imposta è ancora più evidente e pertanto andrebbe correttamente ridefinita. In questo quadro l’Italia così come l’Europa - anche alla luce delle recenti scelte politiche americane - hanno l’occasione di giocare un ruolo fondamentale per introdurre regole certe e un’azione fiscale equa, estendendo così l’approccio trasparente a tutti i Paesi per evitare nuove o ulteriori distorsioni di mercato dell’economia digitale”.
Digital tax: cos'è, le scadenze, chi deve pagarla
Con il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 15 gennaio 2021 sono state fornite le regole alla base del tributo del 3%, con la scadenza per il versamento fissata al 16 marzo 2021 ed il termine per la dichiarazione fissato al 30 aprile. Si tratta di date prorogate rispetto a quelle indicate in precedenza (16 febbraio per il versamento e 30 aprile per la dichiarazione, che saranno le date di riferimento per i prossimi anni).
Ma che cosa è la digital tax? Si tratta della tassa sui servizi dell’economia digitale, avviata in Italia - in attesa del debutto della web tax europea - istituita dalla Legge di Bilancio 2019, e successivamente modificata dalla Manovra dell’anno successivo. Nasce dalla volontà di regolamentare la tassazione per le grandi realtà del web, con l’obiettivo di assicurare equità fiscale e concorrenza leale.
Dovranno pagare questa imposta gli esercenti attività d’impresa, anche non residenti, che nel corso dell’anno in cui sorge il presupposto impositivo hanno realizzato, ovunque nel mondo ricavi non inferiori a 750.000.000 di euro, di cui almeno 5.500.000 nel territorio dello Stato.
La digital tax si applica ai ricavi derivanti dalla fornitura di una serie di servizi digitali: veicolazione su un'interfaccia digitale di pubblicità mirata agli utenti della medesima interfaccia; messa a disposizione di un'interfaccia digitale multilaterale che consente agli utenti di essere in contatto e di interagire tra loro; trasmissione di dati raccolti da utenti e generati dall'utilizzo di un'interfaccia digitale.
La tassa sui servizi digitali è da tempo al centro di un dibattito internazionale, che quest'anno dovrebbe portare ad un accordo in sede OCSE. Entro giugno, la Commissione UE dovrebbe proporre una digital tax europea, dopo che l'imposta è stata comunque introdotta in diversi Paesi del Vecchio Continente.
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Il debutto delle digital tax nazionali, in Italia, Francia, Gran Bretagna, Spagna, Germania e Ungheria, è derivata dall’impossibilità di giungere a un accordo condiviso in sede europea a causa dell’opposizione di alcuni paesi, come Irlanda, Danimarca, Svezia e Finlandia, caratterizzati da una bassa imposizione fiscale.