Riassunto delle puntate precedenti. Lo scorso 4 dicembre Condé Nast annunciava la nuova vita del sistema editoriale Wired, caratterizzato dal nuovo payoff “Make in Italy. Inventa, sbaglia, innova”, dall’arrivo del nuovo direttore Massimo Russo (andato a sostituire Carlo Antonelli, direttore di GQ già a partire da aprile 2013), e da un restyling grafico tale da ridisegnare l’intero ecosistema partendo dal concept “digital first”. In questa occasione l’azienda ha anche disegnato un nuovo equilibrio economico tra i tre elementi che compongono il business di Wired, digitale, cartaceo ed eventi, all’epoca sbilanciato sul fronte del cartaceo, che insieme agli eventi rappresentava il 70%. L’obiettivo dichiarato, in questo senso, era far crescere i ricavi provenienti dal digitale dal 30% fino al 40-50% del totale. Il 9 gennaio, a poco più di un mese dalle ultime dichiarazioni, la casa editrice ha diramato i primi risultati di questa rivoluzione, spiegando che per Wired.it si prospetta un 2014 da record, con gli accessi unici censuari passati da 1,8 a 2,8 milioni già tra novembre e dicembre (fonte Webtrekk). In più gli oltre 12 milioni di pagine viste di novembre hanno superato a dicembre i 28 milioni.
(A.V.) Marco Formento, senior vice president digital Condé Nast, come spiega questi risultati così rapidi?
(M.F.) Quello di Wired non e stato un redesign, ma il reboot di un organismo che ora ha nel digitale la sua ragione d’essere. Siamo partiti col riprogettare un sito che fosse la massima espressione del brand, per poi continuare a cucire gli altri elementi e media attorno a questo perno digitale. Wired.it oggi è il prodotto che mancava, paradossalmente poco italiano nell’approccio, ma molto italiano per inventiva e creatività. E i risultati come dicevamo, si vedono. Consideri che in base alle ultime rilevazioni puntiamo a chiudere gennaio con dati di traffico in crescita del 20-25% su dicembre, a sua volta mese record grazie al raddoppio del traffico rispetto al mese precedente. Il tutto in un periodo, come sappiamo, non facilissimo, soprattutto per i prodotti editoriali online. In sostanza c’era un’assenza clamorosa, tra guru visionari e hardware addicted, di qualcosa o qualcuno che sapesse unire con un abbraccio tutti gli appassionati di innovazione grazie a una visione ampia e globale.
(A.V.) Una bella sterzata è stata anche data alla forma con cui i contenuti vengono presentati, ora molto più spregiudicata...
(M.F.) Assolutamente sì. Questo è il momento che o le cose si fanno, o rischiamo di uscire dalle posizioni che contano. Parlo innanzitutto dell’Italia come Sistema Paese. È il momento di puntare sulle cose che contano e buttarsi nella lotta. Questo è ciò che fa Condé Nast con l’onore e l’onere di gestire le testate presenti nel suo portafoglio prodotti. Abbiamo quindi abbracciato il linguaggio usato dalle persone nella rete, nelle conversazioni online, e ci siamo tuffati dentro. Non possiamo parlare un’altra lingua.
(A.V.) Che numeri avete raggiunto invece sui vostri canali social?
(M.F.) Negli ultimi 3 mesi abbiamo raddoppiato la nostra social audience, con più di 3 milioni di fan e follower nel complesso sui canali delle testate Condé Nast. Sui profili di Wired raggiungiamo oggi il mezzo milione di seguaci, equamente divisi tra Facebook, Twitter e G+. Nel 2014 puntiamo a raggiungere il milione, il tutto grazie a una nuova social media manager che da metà 2013 sta facendo un lavoro straordinario. Wired.it del resto è all’inizio del viaggio e ha una potenzialità enorme. La nostra è la rappresentazione di un mondo, è una visione del mondo, e al momento siamo nella fase sperimentazione.
(A.V.) Una volta raggiunti, cosa contate di farvene di 1 milione di fan?
(M.F.) Come giustamente dici oggi la mera conta di fan e follower non rappresenta di per sé un valore assoluto. È un mezzo, non l’obiettivo. Senza rivelare novità che comunicheremo nei prossimi mesi, posso dirti che al momento ciò che facciamo è fornire un servizio ai nostri utenti. Partecipare alle conversazioni è un modo di esserci, anzi è un requisito indispensabile per esistere, essere rilevanti, e poter attirare l’attenzione.
(A.V.) Per quanto riguarda invece il fatturato, quali sono risultati ed obiettivi di Wired?
(M.F.) Siamo partiti bene anche da questo punto di vista, con l’intenzione di spostare sensibilmente l’economia di Wired sul digitale. Nel complesso, in ogni caso, abbiamo una previsione minima di crescere almeno del 20-25%.
(A.V.) Secondo quanto dichiarato gli eventi dovrebbero assumere un nuovo ruolo molto rilevante, cosa c’è in cantiere? Il Wired Next Fest è confermato?
(M.F.) La seconda edizione del Wired Next Fest è confermata, e al momento siamo in piena organizzazione. Quest’anno si terrà ad aprile, in modo da riservarci l’estate per nuove sorprese. Ma prima, per 15 giorni a partire dal 6 marzo, abbiamo organizzato in via Dante a Milano una mostra en plein air molto interessante, intitolata “Beautiful Information”.
(A.V.) Senta, in un recente articolo il vicedirettore responsabile di Wired nonché responsabile di Wired.it ha scritto “Non esiste più (aggiungo: per fortuna) una distinzione netta tra giornalisti, marketing e reparto commerciale. Chi la invoca è fuori dal tempo o semplicemente un/a cretino/a”. Cosa ne pensa?
(M.F.) Personalmente sono assolutamente d’accordo. Sia chiaro, le regole vanno rispettate e la deontologia delle diverse professioni non è assolutamente in discussione. Ma dal momento in cui il New York Times scopre brand content e native advertising, si capisce che l’unica linea discriminante è la trasparenza. L’aspetto più pericoloso per l’editoria non è la perdita di una presunta verginità, a cui non crede più nessuno, quanto la mancata ammissione del fatto che le persone oggi vivono in un flusso di contenuti che non ha soluzione di continuità. Questo succede anche dall’altra parte della barricata, ovvero nelle redazioni e negli uffici degli editori. L’importante è prenderne coscienza, condividere questa consapevolezza, e dunque rivolgersi ai propri lettori con estrema franchezza e sincerità, distinguendo chiaramente notizie, branded content, native advertising e tutto ciò che passa e passerà attraverso il grande stream dei nuovi media. (intervista pubblicata dal settimanale Engage #01)