11/05/2021
di Mathieu Roche, co-founder e ceo di ID5

L’identificazione post-cookie non può basarsi solo sui login

Mathieu Roche, co-founder e ceo di ID5

L’identificazione degli utenti, nel corso del tempo e su diversi siti web, è basata sugli indirizzi email forniti dagli utenti stessi. Tutti gli altri visitatori, che non sono disposti a fornire un indirizzo email, vengono considerati “anonimi”. Questa è l'idea diffusa tra gli addetti ai lavori quando si affronta il tema dell'identificazione post-cookie. Tuttavia, si tratta di una visione semplicistica.

Questa idea non tiene in considerazione infatti le preferenze e i requisiti dei tre principali attori del settore: editori, brand e consumatori.

Partiamo dai consumatori. Sono pochi gli utenti disposti a fornire un indirizzo e-mail durante la visita di un sito web. In molti interpretano questa richiesta come un’esagerata intrusione nella propria privacy rispetto ad altre tipologie di identificazione basate su requisiti come il semplice consenso al trattamento dei dati.

Per quanto riguarda gli editori, la maggior parte di essi non è disposta a creare delle barriere di accesso ai propri contenuti e non è in grado di imporre queste procedure ai propri utenti.

Infine, la gran parte dei brand non è disposta a limitare le proprie strategie di targeting nei confronti di utenti che già conoscono e di cui possiedono un indirizzo e-mail. In aggiunta, solo alcuni brand vantano una relazione diretta con i propri clienti tale da permettere la raccolta dei loro indirizzi e-mail.

Esiste quindi una soluzione che permette l’identificazione senza richiedere il login? Editori e brand devono per forza rinunciare ai vantaggi dati dalla personalizzazione e dalla misurazione granulare delle performance? In che modo possono gestire ampi gruppi di utenti (oltre l’80%) totalmente anonimi (per i quali i brand sono disposti a spendere meno) Si troveranno a dover ricorrere a metodi non ottimali basati su coorti, misurazioni panel-based o sul contextual targeting per ottimizzare le attività di marketing? 

I login non sono l’unica soluzione

Fortunatamente, abbiamo a disposizione metodi alternativi per permettere l’identificazione e, di conseguenza, la personalizzazione e la misurazione. Possiamo usare informazioni largamente disponibili nelle richieste HTTP (indirizzi IP, user agent e URL) che uniti al first-party storage permettono di individualizzare utenti e dispositivi in modo graduale e su più siti web.

Per utilizzare questi dati e meccanismi, è necessario predisporre un sistema in grado di consentire l’individualizzazione di utenti e dispositivi in maniera trasparente e controllata da:

●    l’utente, che è tenuto a comprendere e accettare di essere identificato se vuole accedere a contenuti o servizi gratuitamente
●    il publisher, che è tenuto a verificare l’identità dei propri utenti e a condividerla con partner che garantiscono la protezione dei loro dati

In pratica stiamo parlando di fingerprinting?

Mi pare quasi di sentire le vostre obiezioni. Nell’ad tech, il fingerprinting equivale ad un insulto al pari delle parolacce che si sentono nei cortili delle scuole elementari. E tale dovrebbe essere, a causa dell’associazione di lunga data con pratiche intrusive, ingestibili e non trasparenti. Negli angoli oscuri del mondo ad tech, il fingerprinting digitale è utilizzato per generare ID persistenti all’insaputa e senza il consenso degli utenti e per rubare i dati agli editori. 

Tuttavia, l’approccio di fingerprinting temuto da publisher ed enti normativi avviene in realtà in ambito buy-side. Le piattaforme demand-side sono in grado di accedere ai segnali che vengono trasmessi attraverso richieste HTTP o tramite protocolli server-side come openRTB. Volendo, queste piattaforme sono in grado di creare ID persistenti di cui gli utenti finali e i publisher non sono a conoscenza né hanno la possibilità di controllare. Ed è questa è la pratica di fingerprinting che dobbiamo contrastare. 

Se invece tali segnali fossero invece gestiti e controllati esclusivamente dagli editori, quest’ultimi potrebbero usarli per generare ID universali e consentire ai brand di accedere ai loro spazi pubblicitari e audience. Stiamo parlando di un modo completamente nuovo di creare un ID.

La sfida dell’identificazione consiste nel creare un ID costante che sia accessibile sui vari domini e applicazioni. Cookie di terze parti e MAID hanno semplificato queste operazioni grazie alla loro costante disponibilità. Tuttavia, sono già, o lo saranno presto, dei sistemi obsoleti. Di conseguenza, è compito dei publisher e degli sviluppatori di trasmettere segnali identificativi ad identity provider, i quali permettono loro di generare un ID e individuarlo in vari siti web. 

Sappiamo già che gli indirizzi e-mail criptati sono in grado di svolgere questo compito ma come abbiamo visto, non sono segnali disponibili su larga scala. La migliore alternativa, e allo stesso tempo, l’approccio più scalabile, consiste nell’utilizzare una combinazione di “soft signal” (come indirizzo IP, user agent, url, siti di provenienza, ecc.) e meccanismi di archiviazione di tipo first-party (come cookie di prima parte o local storage) sfruttando la tecnologia dei processi algoritmici. 

L’implementazione di questo metodo in ambito sell-side permette di connettere i first-party ID e di renderli costanti (ovvero stabili) sui siti web e sulle applicazioni. Di conseguenza, consente ai publisher di rendere identificabile il proprio audience al servizio dei brand con i quali collaborano.

La sfida del 2021

Come accennato prima, il metodo in questione necessita la comprensione e l’accettazione da parte degli utenti. Le piattaforme di Consent Management forniscono a editori e utenti un’infrastruttura utile alla gestione di questa interazione. Gli stessi proprietari di siti web (publisher e brand) possono usufruire di questo metodo di identificazione implementando soluzioni tecnologiche quali Prebid e/o collaborando direttamente con identity provider. E’ importante sottolineare che tale approccio è valido soltanto se le soluzioni di identity sono in grado di garantire la salvaguardia dei dati dei siti web, ad esempio utilizzando meccanismi crittografici.

La creazione di un sistema realmente scalabile e funzionale che si basa su meccanismi di trasparenza, consenso e protezione dei dati ci permette di andare oltre ai login e di creare un framework in grado di beneficiare editori, brand e consumatori. Consente inoltre di preservare un business model che ha reso Internet una fonte di contenuti, informazioni e servizi accessibili a tutti, non solo a coloro che possono permetterselo.

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