Non si fermano le iniziative di boicottaggio della Russia di Putin dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina dello scorso 24 febbraio.
Alla lunga lista di piattaforme social, big tech e ad tech company, agenzie e marketer che hanno deciso di interrompere la fornitura dei propri servizi o, in casi estremi, di cessare del tutto le attività in Russia, ora è la volta delle grandi aziende.
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Tra il 7 e l’8 marzo si sono susseguite senza sosta le comunicazioni di multinazionali del calibro di Levi’s, Unilever, P&G, Estee Lauder, l’Oreal, PepsiCo, Starbucks, McDonald’s e Coca-Cola che hanno deciso a vario titolo di discostarsi in qualche modo dal Paese.
Levi Strauss & Co., P&G, Unilever hanno previsto la sospensione delle attività in Russia e donazioni a favore dei rifugiati ucraini.
P&G e Unilever hanno, in particolare, annunciato un ridimensionamento. I prodotti di prima necessità delle multinazionali saranno ancora distribuiti nel Paese, ma saranno bloccati investimenti di capitale, le campagne pubblicitarie e tutte le attività di promozione. Inoltre, da entrambe le aziende, sono stati stanziati approvvigionamenti di beni per la salute, l’igiene e la cura della persona per i rifugiati.
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L'Oreal ha temporaneamente chiuso tutti i negozi e gli stand nei grandi magazzini in Russia e ha bloccato tutti gli investimenti media, così come Estee Lauder, che sta sospendendo tutte le attività commerciali in Russia compresi gli approvvigionamenti ai rivenditori locali.
Starbucks ha sospeso le attività dei suoi 130 store in Russia, così come PepsiCo che inoltre ha aggiunto il blocco delle attività pubblicitarie e promozionali.
I casi McDonald’s e Coca-Cola e il boicottaggio social
Nella storia dell’esodo dei grandi brand dalla Russia, un capitolo a sé va destinato a McDonald’s e Coca-Cola, che, anche se alla fine hanno preso decisioni radicali rispetto alle loro attività nella nazione, prima sono state oggetto di una campagna diffusa di boicottaggio operata tramite Twitter.
Secondo la ricostruzione operata da Il Fatto Quotidiano, McDonald’s ha deciso l’8 marzo, di chiudere in via temporanea 850 dei suoi punti vendita in Russia.
La scelta, seppur motivata dall’azienda come risposta necessaria all’inutile sofferenza umana che si sta infliggendo all’Ucraina, è però anche il risultato di un pressing sui social che ha quasi indotto i clienti al boicottaggio. L’hashtag #BoycottMcDonalds era infatti finito in tendenza su Twitter durante il week end del 4/6 marzo.
Va detto che Mosca e Ucraina contribuiscono in media per il 9% alle entrate annuali del colosso americano: circa 2 miliardi di dollari e che, a differenza di altri fast food in Russia che sono di proprietà di franchisee, McDonald’s possiede l’84% delle sue sedi russe.
Il gigante degli hamburger ha detto che continuerà a pagare i suoi 62.000 dipendenti in Russia “che hanno messo il loro cuore e la loro anima nel nostro marchio McDonald’s”, ma in una lettera aperta ai dipendenti il Presidente e Ceo di McDonald’s Chris Kempckinski ha affermato che la chiusura per ora è la cosa giusta da fare. Nella stessa comunicazione il Ceo ha spiegato anche che è impossibile sapere quando l’azienda sarà in grado di riaprire. McDonald’s ha anche temporaneamente chiuso 100 fast food in Ucraina, ma continua a pagare i dipendenti.
Stesso colpo a mezzo social è stato inferto a Coca-Cola. La scorsa settimana su Twitter spopolava anche l’hashtag #BoycottCocaCola e nella giornata di ieri anche il colosso del beverage ha deciso di interrompere tutte le proprie attività nel Paese.
Discovery oscura i suoi canali in Russia
Discovery si unisce all'elenco delle emittenti che stanno tagliando i servizi in Russia in risposta all'invasione dell'Ucraina.
Il broadcaster, che gestisce HGTV, Animal Planet e TLC, ha dichiarato che interromperà le trasmissioni nel Paese. Discovery, che ha una partnership con il National Media Group russo, è solo l’ultima di diverse media company che stanno stoppando trasmissioni, streaming e servizi di news in Russia da quando ha invaso la vicina Ucraina.
Negli ultimi giorni, Netflix ha interrotto i suoi servizi di streaming, così come Amazon - che inoltre ha sospeso le spedizioni verso clienti russi e altre attività nel Paese -, mentre BBC e CNN hanno chiuso i loro canali.
Warner Bros. e Disney, invece, ha smesso di mostrare nuove uscite cinematografiche nel Paese.
Chi non si è ancora ritirato dalla Russia
Nonostante la grande onda di defezioni dalla Russia da parte di grandi brand, ce ne sono altri che ancora non si sono ritirati dal territorio.
Secondo una lista compilata e aggiornata quotidianamente dalla Yale School of Management (guardala qui), sono attualmente oltre 290 le aziende che hanno deciso di sospendere, bloccare e chiudere le loro attività e investimenti in Russia.
Ma ci sono ancora grandi nomi che invece hanno deciso di rimanere ancora nel Paese, e tra questi si annoverano Nestlé, Hilton, Marriott, Kimberly-Clark e Mars.
Tra gli ultimi a decidere di abbandonare la Russia si annovera Yum Brands a cui fanno capo le catene di ristorazione KFC e Pizza Hut, che però ha ancora qualche attività in corso nel Paese. Attualmente, il gruppo ha deciso di bloccare gli investimenti di KFC. La restante parte presente in Russia “reindirizzerà tutti i profitti a sostegni di azioni umanitarie”.