È stata presentata martedì presso la sede di UNI a Milano la Prassi UNI/PdR 164, il primo strumento normativo europeo dedicato alla pubblicità accessibile e inclusiva. Promossa da UPA, e sostenuta anche da UNA e FCP, introduce linee guida per abbattere barriere sensoriali, cognitive e culturali nei messaggi pubblicitari. Come ci spiega in questa intervista Marco Travaglia, presidente UPA, «L’accessibilità non è solo un dovere etico, ma una scelta strategica che può migliorare profondamente la qualità della comunicazione».
Presidente Travaglia, oggi è stata presentata una prassi di riferimento unica in Europa per la pubblicità accessibile e inclusiva. Che significato ha questo traguardo per il nostro Paese e per il settore della comunicazione?
È un passo significativo, che posiziona l’Italia come un punto di riferimento europeo in questo ambito. Di solito ci troviamo a rincorrere innovazioni già consolidate altrove, ma questa volta siamo noi ad aprire una strada. La pubblicità accessibile e inclusiva non è solo un dovere etico, ma una scelta strategica che può migliorare profondamente la qualità della comunicazione. Il fatto che UNI e UPA abbiano collaborato, insieme a un tavolo tecnico di esperti, per creare una prassi di riferimento significa dotare il mercato di uno strumento operativo concreto. È una base per garantire che i messaggi pubblicitari possano davvero raggiungere tutti, abbattendo le barriere fisiche, sensoriali e cognitive.
Parliamo del valore etico di questo progetto. Come può la pubblicità inclusiva contribuire al cambiamento sociale?
La pubblicità ha un ruolo enorme nel plasmare il modo in cui vediamo il mondo. È un megafono sociale che non solo racconta prodotti e servizi, ma trasmette valori. Adottare un approccio inclusivo significa dare spazio a una comunicazione che rappresenti tutte e tutti, aiutando a superare stereotipi e discriminazioni. Inoltre, promuovendo l’accessibilità, le aziende non si limitano a includere chi oggi rischia di essere escluso, ma costruiscono un dialogo più autentico con il pubblico. È un cambiamento culturale che rafforza la coesione sociale, facendo della pubblicità non solo uno strumento di vendita, ma un motore di progresso.
E dal punto di vista delle aziende? Quali opportunità concrete offre questo approccio?
Le opportunità sono molteplici. Innanzitutto, l’accessibilità amplia i target di riferimento, raggiungendo segmenti di pubblico altrimenti esclusi. Poi, messaggi più chiari e comprensibili risultano intrinsecamente più efficaci. Un altro punto fondamentale è la creazione di un legame più profondo tra il brand e i suoi consumatori. Un’azienda che dimostra di investire nell’inclusività non solo rafforza la propria reputazione, ma genera maggiore fedeltà da parte di chi si identifica nei suoi valori. Infine, questo cambiamento è anche un terreno fertile per l’innovazione: sviluppare nuove modalità di comunicazione accessibile può aprire la strada a formati, linguaggi e touchpoint innovativi.
Nonostante le opportunità, le aziende si trovano davanti a sfide significative. Quali sono, secondo lei, i principali ostacoli e come possono essere superati?
Come per ogni cambiamento culturale, la sfida principale è superare l’inerzia degli usi consolidati. Ripensare i processi di progettazione pubblicitaria richiede tempo, formazione e volontà di innovare. Per questo UPA si impegna a supportare il settore attraverso la formazione, in particolare con l’UPA Academy. Insegneremo ai professionisti come progettare messaggi nativamente inclusivi e come adattare quelli esistenti per rispettare i principi dell’universal design. Inoltre, c’è il tema dei costi: integrare strumenti come sottotitoli, audiodescrizioni e standard di accessibilità può comportare un investimento iniziale. Tuttavia, crediamo che i benefici in termini di efficacia e reputazione superino di gran lunga le spese.
A proposito di investimenti: c’è un ritorno economico per le aziende che scelgono di adottare queste linee guida?
Sicuramente sì, anche se non possiamo ancora quantificarlo con precisione. Pensiamo che una pubblicità accessibile consenta di raggiungere un pubblico più ampio e diversificato, con un impatto positivo sulla percezione del brand. In più, il ritorno non è solo economico ma anche reputazionale. Un’azienda che abbraccia l’inclusività comunica di essere al passo con i tempi, capace di anticipare le esigenze di una società in continua evoluzione.
Guardando al futuro, quali saranno i prossimi passi per diffondere e applicare queste linee guida nel settore?
La chiave sarà coinvolgere tutti gli stakeholder – dai brand agli editori, dalle agenzie ai creativi – per rendere questo approccio sistemico. È auspicabile che la pubblicità accessibile diventi una prassi condivisa e riconosciuta da tutto il mercato. Questo processo richiederà uno sforzo collettivo, ma sono fiducioso che il nostro settore abbia la sensibilità e la determinazione necessarie per portarlo avanti.