“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”, scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo Il Gattopardo. Un celebre aforisma sul cambiamento che ben si adatta alle trasformazioni in atto nel campo del Retail, alle prese con un’accelerazione di fenomeni mai vista prima, in cui non è semplice discriminare in modo chiaro ciò che attiene alla moda del momento, all’accessorio, da quello che è invece definitivo e strutturale.
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In un quadro appassionante ma allo stesso tempo destabilizzante, Altavia ha pubblicato “Retailing The Future”: una guida di oltre 100 pagine (disponibile a questo link) che si propone di fare chiarezza sulle grandi sfide che impegneranno i retailer in questa fase storica e nei prossimi 20 anni, facendo leva su decenni di esperienza a servizio dei brand e dei player della distribuzione, nel tessere relazioni con i consumatori e nutrirle. Ne abbiamo parlato con Anna Casani, Ceo della sede italiana della società.
Anna, perché avete deciso di realizzare una guida sul futuro del Retail, e di farlo proprio adesso?
Innanzitutto perché quest’anno il Gruppo Altavia festeggia i 40 anni, quindi sono 40 anni che, in oltre 45 paesi, accompagna i retailer nelle loro missioni di attivazione commerciale e nella creazione di legami con i loro clienti. Un quarantennale che arriva in un'epoca molto complicata, un clima d’incertezza e paura, un'inflazione che genera tensioni sul potere d'acquisto e un’accelerazione di trasformazione mai vista. Abbiamo ritenuto opportuno mettere a sistema la conoscenza che abbiamo acquisito in questi 40 anni e la visione su come, secondo noi, può evolvere sia il ruolo dei retail e la relazione tra retail/brand e consumatore.
Come, quindi?
Le logiche del commercio sono cambiate. Prima molte decisioni erano basate sull’istinto, sulla negoziazione, sulle abitudini, sulle esperienze. Oggi si è inserito un nuovo elemento: l'intelligenza. Artificiale o meno tutto ora si può basare su modelli predittivi grazie ai quali il marketing si automatizza, si personalizza e diventa più performante. La missione di Altavia da 40 anni e nel mondo in più di 45 paesi, è di accompagnare i nostri clienti retailer e brand nel tessere legami di valore con i loro clienti. E in questo sta anche il fatto di accompagnarli anche ad affrontare questi grandi cambiamenti a cui sono sottoposti. In questo contesto inedito crediamo che ogni retailer debba cogliere l’occasione per prendere un po’ di distanza e ripensare al posto dell’umano nel suo modello. E non è scontato farlo in un momento dove lo sguardo è più orientato all’aspetto economico e al profitto a breve termine. Ma la sfida secondo noi sta proprio nel pensare e nella capacità di non sacrificare l’elemento human e a ripensare il suo ruolo e il suo valore nel commercio.
Nella guida coniate l’espressione “l’economia dei legami”. Cosa intendete?
Per noi la chiave del successo del retail e più in generale del commercio sarà proprio connesso e dipendente dalla natura, dalla forza dei legami che brand e retailer sapranno tessere con i propri clienti e la loro capacità di reinventarsi. E questo valore per noi c’è sempre stato, non è qualcosa che inventiamo ora. Ma evolve. Cambia. Ed è per questo che l’altro fattore di successo sarà la loro capacità di spostarsi e reinventarsi.
Siamo partiti dalla necessità di democratizzazione d’accesso ai beni e ai prodotti con l’arrivo degli ipermercati. Oggi che possiamo acquistare via smartphone su un e-commerce o tramite social media o piattaforme di intrattenimento, in negozio o su Amazon, con formule di abbonamento, non basta più essere customer-centric e non basta più nemmeno agire sulle leve di loyalty e fidelity. Oggi cerchiamo un’esperienza unica, ricca di contraddizioni e fatta di scelte contrarie tra di loro. Chi si sposterà da customer-centric a life-centric prendendo in considerazione tutte le sfaccettature del cliente riuscirà a restituire esperienze sorprendenti.
Un altro aspetto che sottolineate è il ruolo crescente delle comunità...
Riteniamo che il futuro del commercio si giocherà proprio lì, nelle comunità di consumatori, community fisiche e digitali. Chi saprà spostarsi da una logica di prodotto a una di passione per il servizio, considerando il cliente non solo come persona dotata di potere di acquisto ma come membro di una comunità, condividendone valori e visione in modo autentico e coerente con la sua offerta, quello sarà il retail che i consumatori sceglieranno. A quel punto il retailer potrà accompagnare la trasformazione delle aspirazioni di quel cliente in una logica non di accumulo ma di equilibrio, armonia, intrattenimento, soddisfazione personale, rispetto del Pianeta…
E cosa si intende per servizio? Logiche di utilizzo piuttosto che di proprietà, essere dove le comunità sono e quindi sulle piattaforme di intrattenimento e sui social network, lancio di prodotti in linea con i valori propri della marca, supporto alle comunità in termini di offerta coerente, uso dei dati per costruire una relazione soddisfacente, presidiare le più adatte soluzioni logistiche. La prossimità, i locker, i servizi di lavanderia o conciergerie, il babysitting durante gli acquisti, l’affitto della strumentazione invece che l’acquisto, la riparazione, le formule di abbonamento: questi sono alcuni dei servizi che possono facilitare la relazione tra retailer/brand e consumatore.
E la tecnologia che ruolo deve giocare nell’aiutarci a comprendere o a entrare in empatia con questo nuovo cliente?
Per noi la tecnologia è e deve rimanere uno strumento abilitante. Che ci aiuta a perfezionare la nostra capacità di segmentare i giusti cluster di clienti, analizzare i corretti dati più rilevanti, predire i comportamenti in funzione di una maggiore personalizzazione dei contenuti, e quindi indirizzare il giusto messaggio al giusto interlocutore… la tecnologia è abilitante perché può proporre l’offerta o il contenuto giusto, nel momento giusto, alle giuste condizioni, con la giusta comunicazione, al giusto prezzo, nel modo giusto, al cliente giusto. E il retailer deve capire che il cliente, al quale vengono sempre chiesti i dati, lo fa più facilmente se servono per dare un servizio, che spesso può voler dire “saving di tempo” dal delivery (la spesa consegnata direttamente alla macchina), alla raccolta di informazioni (il frigo che ti fa la lista della spesa).
Oggi si parla tanto di intelligenza artificiale. Che ruolo avrà nel futuro del commerce?
Oggi il consumatore ha bisogno d’intelligenza nel rapporto con il retailer, che sia artificiale o meno. L’insegna o il brand devono usare l’AI per portare intelligenza nella relazione con il consumatore. Lo deve fare per avere capacità di comunicazione iper personalizzata che fa sì che il cliente si senta veramente considerato e compreso dal brand, che riesce a proporgli le offerte e i contenuti che interessano a lui e a nessun altro. Lo deve fare per migliorare l'esperienza di acquisto online.
Lo deve fare per rendere l’esperienza in store più fluida, per esempio monitorando i flussi alle casse e avvisando i clienti in caso di attese lunghe, o tenendo sotto controllo lo stock di prodotti rimasti in un reparto, per evitare che gli scaffali si svuotino o, al contrario, per evitare invenduto e sprechi di cibo.
Diverse ricerche hanno mostrato che le persone si aspettano dai brand delle prese di posizione concrete rispetto alle grandi sfide dell’umanità, in materia ambientale e sociale. Si parla di brand activism… e il retail?
In passato, un'azienda poteva scegliere per quali problemi impegnarsi. Oggi non è più così. I consumatori, in particolare Millennial e Generazione Z, chiedono a gran voce alle imprese di essere le protagoniste del cambiamento del mondo e del tentativo di risolvere i problemi più urgenti che affliggono la società. Crisi di fiducia, emergenza climatica, disparità di reddito, correttezza verso i collaboratori, diritto alla salute e all'istruzione, riscaldamento globale, discriminazioni, impronta ambientale dei singoli e delle imprese sono diventati nel volgere di un decennio i temi centrali su cui ogni azienda è chiamata a rispondere. I linguaggi della comunicazione devono fotografare la società contempotranea dove, per esempio, il breadwinner non coincide più necessariamente con l'uomo, dove le famiglie, soprattutto nelle grandi città, sono spesso mononucleari. La gdo/gds e il retail in generale giocano un ruolo chiave nella comunicazione e possono essere importanti nel veicolare i nuovi assetti della società.
Il Retail Media è una delle grandi tendenze emergenti della comunicazione. Come vedete lo sviluppo di questo settore? Può dare al Retailer una diversa percezione del proprio ruolo all’interno della catena del valore?
Secondo le ultime stime di Warc, la spesa in pubblicità su retail media a livello mondiale, con Amazon in testa ai provider di questi spazi, è in crescita del 10,2% anno su anno e gli investimenti adv dovrebbero toccare i centoquaranta miliardi di dollari nel 2024, prendendo il posto della TV lineare come terzo maggiore canale per spesa nel giro di pochi anni.
In Italia sembra che questa opportunità di business non sia ancora stata compresa, o almeno colta. Il motivo si legherebbe a una mancanza di consapevolezza sul mezzo, legata alla paura di condividere informazioni preziose, senza capire a fondo che è grazie a quei dati che le insegne e i brand possono saper leggere, tradurre, interpretare. E sedurre.