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28/11/2024
di Simone Freddi

Canone Rai e Web Tax, i possibili effetti della manovra economica sul mercato pubblicitario

La discussione sulla Legge di Bilancio può coinvolgere il settore pubblicitario in modo diretto, in particolare a causa di due temi particolarmente controversi

La Camera dei Deputati

La Camera dei Deputati

La discussione sulla Legge di Bilancio 2025, che dovrà essere approvata in via definitiva entro la fine dell’anno, sembra poter coinvolgere il settore pubblicitario in modo diretto, in particolare a causa di due temi particolarmente controversi: Il taglio del canone Rai e la Web Tax. Le decisioni che saranno assunte in parlamento su questi due aspetti potrebbero avere ripercussioni significative sul mercato della pubblicità, influenzando sia i broadcaster televisivi che le aziende del settore digitale.

Da un lato, la questione del canone Rai, con la possibile riduzione a 70 euro, potrebbe alterare l’equilibrio delle risorse pubblicitarie nel mercato televisivo, mentre dall’altro, l’ampliamento della Web Tax rischia di penalizzare le concessionarie di pubblicità online e, in generale, le PMI e le startup del settore digitale, in un contesto competitivo e in rapida evoluzione.

Canone Rai, le tensioni nella Maggioranza sul taglio a 70 euro

Il voto contrario di Forza Italia in commissione bilancio sull'emendamento presentato dalla Lega per confermare la riduzione del canone Rai ha segnato un punto di frizione all'interno della maggioranza di governo. La proposta della Lega, che puntava a mantenere il canone a 70 euro, ricalcava la misura introdotta nella Legge di Bilancio 2023, ma la contrarietà di Forza Italia ha messo in luce le divergenze su questa questione. Lo scorso anno, la Manovra aveva previsto la riduzione del canone da 90 a 70 euro per il 2024, misura che, pur rispondendo a una richiesta di alleggerimento del carico fiscale per i cittadini, era stata compensata nelle casse della Rai dal finanziamento statale.

In altre parole, il taglio era stato possibile grazie a un contributo diretto dello Stato, che aveva previsto 430 milioni di euro per il servizio pubblico, bilanciando così la perdita derivante dalla riduzione del canone.

Il testo attualmente in discussione della Legge di Bilancio 2024, tuttavia, non contempla più la conferma di questa misura, nonostante fosse stata precedentemente annunciata in conferenza stampa dal governo. Di conseguenza, il canone tornerà a 90 euro a partire dal prossimo anno, un aumento che potrebbe non essere ben accolto dalle famiglie italiane. D’altra parte, un nuovo abbassamento del canone rischierebbe di generare un ammanco significativo nelle casse della Rai, pari a circa 400 milioni di euro.

In tale scenario, si porrebbe la questione di dove la Rai potrebbe reperire queste risorse: o attraverso un nuovo finanziamento statale (di difficile realizzazione in una Manovra estremamente vincolata dalle indicazioni di rientro previste dal Piano strutturale di bilancio) o aumentando gli introiti pubblicitari, opzione caldeggiata dalla Lega che però presenta delle implicazioni delicate.

Già lo scorso luglio, il partito di Matteo Salvini aveva presentato una proposta di legge volta ad innalzare la soglia di affollamento pubblicitario della Rai di un punto percentuale. La proposta, depositata dal deputato Stefano Candiani, nelle previsioni avrebbe garantito alla tv di stato un centinaio di milioni in più, permettendo alla tv di Stato di agire con maggiore autonomia (anche dal Canone) sul mercato. Che questa sia l'idea della Lega lo ha confermato anche in questi giorni il vicesegretario del Partito Andrea Crippa, spiegando che la Rai «dovrebbe compensare con pubblicità» il taglio del Canone.

Tuttavia, questo scenario potrebbe non incontrare il favore degli altri broadcaster televisivi, in particolare di Mediaset, principale concorrente della Rai nel mercato televisivo commerciale. Naturalmente, c'è chi si chiede se dietro il voto contrario da parte di Forza Italia alla riduzione del Canone ci possa essere anche la volontà di difendere gli interessi dei figli di Silvio Berlusconi, tuttavia non ci sono dichiarazioni ufficiali in tal senso. La decisione di Forza Italia di opporsi al taglio del canone Rai è stata finora motivata principalmente da preoccupazioni riguardo all'impatto sulle finanze pubbliche e al beneficio limitato per le famiglie italiane.

Web Tax, la norma della discordia

La Web Tax è una tassa sui servizi digitali introdotta in Italia nel 2019 con l'obiettivo di fare in modo che le grandi aziende tecnologiche multinazionali contribuissero all'economia dei paesi in cui generano ingenti profitti, come Google, Facebook e Amazon. La tassa è stata pensata per colpire i ricavi generati dalle attività digitali, come la pubblicità online e la vendita di dati, con un’aliquota del 3% sui ricavi delle aziende che superano determinati limiti di fatturato globale. Sebbene abbia avuto un impatto ridotto rispetto alle aspettative, la Web Tax ha comunque portato nelle casse dello Stato italiano circa 400 milioni di euro nel 2023 come risultato del tentativo del governo italiano di tassare equamente le multinazionali operanti nel mercato digitale.

Nella versione attualmente in vigore, la web tax si applica solo alle imprese con ricavi globali superiori a 750 milioni di euro, di cui almeno 5,5 milioni di euro devono derivare da attività digitali in Italia. Tuttavia, la bozza della Manovra elimina queste soglie. Il governo ha quindi deciso di estendere l’applicazione della Web Tax anche a tutte le imprese che forniscono servizi digitali in Italia, senza fare distinzione tra grandi e piccole realtà.

Questa modifica ha suscitato forti proteste nel settore digitale. PMI, startup e piccole imprese temono infatti di veder gravare su di sé un'imposta che, originariamente, era destinata principalmente ai giganti tecnologici. Le voci di protesta hanno fatto sentire il loro peso, chiedendo una revisione della proposta che, secondo molti, potrebbe compromettere la competitività delle realtà locali.

Attualmente, il Parlamento sta esaminando una serie di emendamenti che potrebbero modificare il quadro normativo. Molti di questi, che sostanzialmente proponevano il reintegro delle soglie originali, sono stati giudicati non ammissibili per mancanza di copertura finanziaria. Tuttavia, un emendamento ritenuto ammissibile propone di fissare un limite unico di ricavi a 40 milioni di euro, escludendo così dalla Web Tax la maggior parte delle PMI e delle startup. Altri emendamenti punterebbero invece a esentare il settore editoriale, per evitare che anche le testate giornalistiche siano colpite dalla tassa.

Sullo sfondo di questa discussione si stagliano poi le pressioni internazionali, in particolare quelle provenienti dagli Stati Uniti, che avrebbero chiesto all'Italia di rivedere la tassa sui colossi digitali come Google e Meta. Secondo quanto riferito dalla Reuters, Gli Stati Uniti avrebbero chiesto nuovamente all’Italia, e con rinnovata insistenza, di eliminare la Web Tax applicata ai giganti USA, minacciando inoltre ritorsioni in caso di rifiuto.

Il merito il governo italiano, sempre secondo la Reuters, avrebbe assunto una posizione di prudente attesa, evitando di pronunciarsi in merito almeno finché alla Casa Bianca non si sarà insediato il nuovo presidente Donald Trump il 20 gennaio. A quel punto tuttavia, la Manovra con la web tax riformulata (e potenzialmente allargata alle Pmi) sarà già entrata in vigore, lasciando intravvedere uno scenario piuttosto paradossale in cui a essere esentati dalla tassa, qualora il Governo decidesse di cedere alle presunte pressioni provenienti da Washington, potrebbero essere proprio i soggetti che la norma intendeva colpire. Ma naturalmente qui siamo nel campo delle pure speculazioni.  

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